I pianeti nella scienza
 

Cinque miliardi di anni fa nel braccio di Orione della Via Lattea, nasceva il Sole. Il grembo che lo plasmò fu una gigantesca nube di gas d’idrogeno e polveri che, a seguito di una perturbazione innescata molto probabilmente dall’esplosione di una Supernova, divenne instabile e prese a collassare su sé stessa. La contrazione avvenne verso il centro di gravità della nube e fu accompagnata da una rotazione che l’onda d’urto impresse sull’immensa regione quando la investì. Di questo movimento rotatorio i pianeti e i loro satelliti conservano ancora il ricordo nella rotazione su sé stessi poiché nello spazio, dove la densità di materia è così bassa da avvicinarsi al vuoto, non c’è attrito e si conserva il cosiddetto momento angolare, una grandezza fisica che esprime la rotazione di un corpo.

fig.1

Nelle zone centrali della nube, dove la gravità si faceva sentire con più vigore, le particelle di idrogeno si aggregarono a gran velocità e numerosissime, andando a formare una sfera che diveniva sempre più calda e massiccia (Fig. 1). Era una nuova stella che stava per accendersi e ciò avvenne quando il calore salì a dieci milioni di gradi, temperatura alla quale si innescano le reazioni nucleari e la stella inizia a brillare. Tutte le stelle nascono così e, a seconda della massa che raggiungono quando nel loro nucleo scocca la scintilla di vita, evolvono più o meno rapidamente e con destini diversi. Più la massa è grande, più caldo è l’astro e più breve è la sua vita e viceversa.

Il Sole è una stella di duemila miliardi di miliardi di miliardi di chili, pari a 330.000 volte la massa della Terra che, sebbene per noi sia un numero strepitoso, nel campionario cosmico, denota invece un astro comune. Ma ben venga il suo apparente anonimato perché se così non fosse, non sarebbe stata possibile la vita, o per il troppo caldo o per il troppo freddo.

Circa cinquecento milioni di anni dopo che il giovane Sole splendeva, si formarono i pianeti, uno dei quali destinato a ospitare noi. La materia da cui scaturirono era sempre quella della nube primordiale, ossia atomi di idrogeno e granelli di polvere, che andarono però a disporsi in zone diverse dello spazio: le particelle più pesanti della polvere – grani di grafite, silicati, metalli e ghiaccio – rimasero nelle vicinanze del Sole e, ruotando attorno ad esso, si appiattirono in un disco di accrescimento. Questo disco non era perfettamente omogeneo così che vi furono alcuni punti più densi di altri che attirarono a sé la materia circostante e diedero origine ai cosiddetti planetesimi, ossia i proto-pianeti (Fig. 1). Anche le particelle più leggere di idrogeno fecero lo stesso, ma molto più lontano poiché il vento proveniente dal Sole le soffiò via a grande distanza.

fig.2

Fu così che vicino alla stella sorsero i pianeti solidi, fatti di ferro, rocce pesanti, liquidi e gas che al loro interno si solidificarono, mentre lontano emergevano giganteschi i pianeti gassosi (Fig. 2). Questi poterono gonfiarsi a dimensioni eccezionali grazie all’enorme distanza che li separava dal Sole, poiché là il vento proveniente dalla stella giungeva ormai affievolito e non più in grado di soffiare molto oltre le particelle di idrogeno e di elio. I planetesimi di quelle regioni catturavano così il gas che man mano arrivava accrescendo sempre più la propria massa.

Il risultato di questa lunga gestazione fu il Sistema Solare, una regione cosmica a forma di disco in cui, attorno a una stella centrale, ruotano otto pianeti su orbite ellittiche pressoché complanari. I loro nomi sono Mercurio, Venere, Terra, Marte, Giove, Saturno, Urano, Nettuno e, fino al 2006, anche Plutone (Fig. 3).

Quest’ultimo infatti presenta caratteristiche fisiche e dinamiche per cui fin da subito ha costituito un’eccezione, difficile oltretutto da giustificare; tuttavia fondamentalmente per il fatto che ruotava intorno al Sole, era tondeggiante e possedeva un satellite, Caronte, lo si è considerato un pianeta alla stregua degli altri.

Ma il 24 agosto 2006, dopo una settimana di acceso dibattito, l’Unione Astronomica Internazionale riunitasi a Praga, ha emesso la sentenza e fornito i nuovi requisiti che deve soddisfare un corpo celeste per essere considerato un pianeta. Un pianeta è un corpo celeste che:

fig.3

  • orbita intorno al Sole;
  • ha una massa sufficiente da permettere alla sua gravità di plasmarlo in una forma quasi sferica;
  • ha ripulito i dintorni della sua orbita, ossia è il corpo dominante nella regione in cui si muove.

Plutone, scoperto nel 1930 dall’astronomo americano Clyde Tombaugh, soddisfaceva i primi due requisiti, ma non il terzo nel senso che la sua orbita è contaminata da una miriade di corpi minori, detriti risalenti ai primi stadi della formazione del Sistema Solare. Plutone non ha mai raggiunto una massa tale da poter catturare questi frammenti aggregandoli a sé e quindi non ha “ripulito” la sua orbita. Esso fu dunque ri-classificato a pianeta nano, le cui caratteristiche sono:


  • orbita intorno al Sole;
  • ha una massa sufficiente da permettere alla sua gravità di plasmarlo in una forma quasi sferica;
  • non ha ripulito i dintorni della sua orbita, ossia è il corpo dominante nella regione in cui si muove
  • non è un satellite

La IAU ha precisato infine che “tutti gli altri oggetti, eccetto i satelliti, che orbitano intorno al Sole devono essere considerati in maniera collettiva come piccoli corpi del sistema solare". In pratica, rientrano in questa categoria gli asteroidi, le comete e gli oggetti trans-nettuniani (TNO, Trans-Neptunian Objects), cioè oltre l’orbita di Nettuno, l’ultimo pianeta del Sistema Solare. Ma di tutta questa diatriba gli antichi non seppero nulla poiché conoscevano i pianeti fino a Saturno, l’ultimo visibile a occhio nudo. Gli ultimi furono scoperti molti secoli dopo, a partire dalla fine del XVIII secolo, in pratica solo 230 anni fa.

fig.4

I pianeti però non sono gli unici componenti del Sistema Solare. A essi bisogna aggiungere innanzitutto i loro satelliti, una sorta di pianeti in miniatura che gravitano attorno a quello cui sono legati; vi è poi una zona compresa fra le orbite di Marte e Giove, contenente i frammenti di quello che doveva essere un pianeta ma che, per l’imponenza gravitazionale di Giove, non ha mai potuto formarsi. Si tratta della fascia degli asteroidi (Fig. 4), rocce celesti di dimensioni generalmente inferiori al chilometro e che al massimo arrivano al migliarino di chilometri. L’intero Sistema Solare è poi immerso al centro di una grande bolla la cui superficie dista 100.000 volte la distanza della Terra dal Sole e sulla quale viaggiano le comete, enormi palle di ghiaccio, neve e detriti che, se giungono nelle vicinanze del Sole, si incendiano lasciando dietro di sé una lunga scia luminosa che noi chiamiamo coda. Il tutto infine è cosparso di polvere, gas e frammenti di particelle solide.

I pianeti ruotano attorno al Sole a velocità diverse, così che dalla Terra sembrano ora avanzare ora arretrare. Le diverse inclinazioni delle orbite sono inoltre responsabili della variazione della loro altezza sull’orizzonte. Proprio questi fenomeni apparenti, il primo dei quali dovuto al fatto che anche noi ci muoviamo con una certa velocità, è all’origine del loro nome. Gli Antichi Greci chiamarono infatti questi punti luminosi planetes che significa erranti, per distinguerli dalle luci immobili delle stelle. Le orbite dei pianeti sono comunque tutte contenute in un’ampiezza massima di 7° sull’eclittica, ossia sul piano dell’orbita terrestre, così che tutti durante l’anno si affacciano sulle stesse costellazioni, quelle zodiacali. I pianeti quindi si trovano sempre sullo Zodiaco.

Le velocità con cui i pianeti ruotano intorno al Sole diminuiscono andando verso la periferia del Sistema Solare, in accordo con la seconda legge della dinamica e col fatto che la forza di gravità diminuisce all’aumentare della distanza. La gravità di cui risentono i pianeti è naturalmente quella del Sole, poiché il campo gravitazionale esercitato da un corpo va di pari passo con la sua massa e la massa della nostra stella rappresenta il 99% della massa di tutto il Sistema Solare. Gli assi di rotazione dei pianeti inoltre sono tutti pressoché paralleli fra loro ad eccezione di Urano che percorre la sua orbita “rotolando”. Anche il senso rotatorio dei pianeti è pressoché sempre da ovest verso est, sia per quanto riguarda il loro percorso attorno al Sole che la rotazione su sé stessi.

Fanno eccezione Urano e Venere che ruotano su sé stessi in senso contrario. Complessivamente però il parallelismo degli assi e l’identicità del verso di rotazione, sono alcune delle testimonianze a favore di un’origine comune dei corpi che popolano il Sistema Solare. E’ curioso osservare anche come i pianeti si siano disposti rispetto al Sole con una certa regolarità nella distanza. Già nel 1724 il filosofo tedesco Christian Wolff aveva scoperto una relazione empirica fra le distanze medie dei pianeti rispetto al Sole. Mezzo secolo più tardi, nel 1772, anche un astronomo tedesco Johann Titius giunse alla stessa conclusione, ma fu nel 1778 che venne formulata una legge matematica precisa ad opera dell’astronomo Johann Bode, regola che oggi è nota col nome di Legge di Titius-Bode. Ciò di cui si accorsero i tre scienziati fu che i pianeti erano disposti in quasi tutti i casi secondo la serie 0, 3, 6, 12, 24, 48, 96, 192, 398, 796, dove a partire dal 6, ogni numero è il doppio del precedente. In particolare, la formulazione esatta cui obbediscono le distanze planetarie consiste nell’aggiungere 4 ad ogni numero della serie e dividere il risultato per 10, ossia:

  • (0 + 4)/10 = 0,4 per Mercurio
  • (3 + 4)/10 = 0,7 per Venere
  • (6 + 4)/10 = 1,0 per la Terra
  • (12 + 4)/10 = 1,6 per Marte
  • (24 + 4)/10 = 2,8 per la fascia degli asteroidi
  • (48 + 4)/10 = 5,2 per Giove
  • (96 + 4)/10 = 10,0 per Saturno
  • (192 + 4)/10 = 19,6 per Urano
  • (398 + 4)/10 = 40,2 per Nettuno
  • (796 + 4)/10 = 80,0 per Plutone quando veniva annoverato fra i pianeti del Sistema Solare

Le distanze che si ottengono sono espresse in Unità Astronomiche (UA), dove l’Unità Astronomica è la distanza che separa la Terra dal Sole e infatti, nel caso della Terra, risulta uguale a 1. Convertendo in Unità Astronomiche le distanze medie dei pianeti ricavate in chilometri, si ottengono proprio i valori della Legge di Titius-Bode, con l’eccezione di Nettuno che mostra un errore in eccesso del 22% e di Plutone per cui si ha una stima in eccesso del 49%, ma quest’ultimo corpo rappresenta un caso particolare in molte sue caratteristiche, tant’è che appunto nel 2006, è uscito dall’elenco dei pianeti del Sistema Solare. D’altra parte, occorre osservare anche che quando la legge delle distanze fu formulata, i pianeti conosciuti erano ancora quelli degli antichi, cioè quelli fino a Saturno per i quali la relazione mostra un elevatissimo grado di precisione. Le distanze esatte dei pianeti dal Sole espresse in Unità Astronomiche sono:

  • 0,4 UA per Mercurio
  • 0,7 UA per Venere
  • 1,0 UA per la Terra
  • 1,5 UA per Marte
  • 5,2 UA per Giove
  • 9,5 UA per Saturno
  • 19,2 UA per Urano
  • 30,1 UA per Nettuno
  • 39,5 UA per Plutone

Questo significa anche che i raggi del Sole impiegano circa 3 minuti per giungere sulla superficie di Mercurio, 6 per arrivare su Venere, poco più di 8 per scaldare la Terra, 12 minuti e 40 secondi per approdare su Marte, quasi tre quarti d’ora per illuminare Giove, un’ora e venti minuti per toccare Saturno, ma due ore e quaranta per spuntare su Urano, più di 4 ore su Nettuno e ben 5 ore e mezza per posarsi sul lontanissimo Plutone. Questo è dunque il tempo che la luce impiega per attraversare il Sistema Solare e naturalmente i raggi del Sole giungono a quest’ultimo traguardo ben più freddi di quando sono partiti. Da Giove in poi i pianeti sono infatti corpi celesti dall’atmosfera gelida, si va dai 150° sottozero di Giove ai 214° sottozero di Nettuno!

Per avere un’idea della vastità del Sistema Solare, si può fare un confronto approssimativo con le distanze in linea d’aria fra le città. Supponendo che il Sole sia a Bologna, Mercurio si troverebbe nella vicina Pianoro, Venere a Imola, la Terra a Castelbolognese e Marte a Forlì, ma per arrivare su Giove bisognerebbe viaggiare fino ad Ancona, per vedere gli anelli di Saturno invece dovremmo proseguire fino a Vasto, mentre Urano sarebbe l’ultimo pianeta nel nostro Paese, venendosi a trovare grossomodo a Lecce. Per Nettuno dovremmo volare in Spagna, a Valenza, e sempre in Spagna potremmo terminare il nostro viaggio virtuale visitando Plutone a Cordova. L’estensione è davvero notevole, eppure se paragonato alle dimensioni della Galassia in cui è immerso, non è che un minuscolo frammento sperduto in un braccio di spirale. In questo minuscolo frammento circolare, ruotano come piccole biglie i pianeti attorno a uno dei 100 miliardi di astri che formano la Via Lattea, primo fra tutti Mercurio.

fig.5

MERCURIO

Mercurio (Fig. 5) dista quasi 58 milioni di chilometri dal Sole ed essendo il primo pianeta che si incontra dalla nostra stella, è anche quello che ruota attorno ad essa più velocemente. Per compiere un giro attorno al Sole impiega infatti solo 88 giorni. E’ molto più lento invece nella rotazione su sé stesso. Se il suo periodo di rotazione espresso in giorni siderali è di 59 giorni, quello espresso in giorni solari è di 176 giorni, cioè il doppio della rivoluzione.

Il giorno siderale è l’intervallo di tempo impiegato dal pianeta per compiere un giro completo attorno al proprio asse avendo come riferimento le stelle. Sidera in latino significa infatti stelle. In altre parole è il tempo impiegato per rivedere la stella che si era presa come riferimento per l’inizio della rotazione.

Il giorno solare invece è l’intervallo di tempo impiegato dal pianeta per compiere un giro completo attorno al proprio asse ma avendo stavolta come riferimento il Sole, ossia è il tempo impiegato per rivedere sorgere il Sole dall’alba precedente. Il giorno solare è dunque quello che usiamo noi nella vita quotidiana ed è sempre un po’ più lungo del giorno siderale, poiché per rivedere il Sole nella posizione in cui l’avevamo visto l’ultima volta, la Terra deve compiere un pezzo in più della sua orbita; mentre ruota su sé stessa infatti la Terra ruota anche intorno al Sole e quindi avanza un po’ lungo la sua orbita, precisamente di 1° ogni giorno. Pertanto, per rivedere il Sole nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato, deve percorrere quel grado di cui nel frattempo è avanzata.

Rispetto a una stella generica invece, il moto di rivoluzione non viene implicato poiché il pianeta non ruota intorno a quella stella. Inoltre l’enorme distanza che lo separa dalle stelle fisse, contribuisce all’invariabilità della durata del giorno siderale. Cosa che invece non avviene per il giorno solare, poiché le orbite dei pianeti sono ellittiche con il Sole che occupa uno dei fuochi, ragion per cui cambia la distanza del pianeta rispetto a esso e di conseguenza il tempo con cui viene percorsa, più breve nel punto più vicino al Sole, il perielio, più lungo in quello più lontano, l’afelio. Nel caso della Terra, il giorno siderale dura 23h 56m mentre quello solare dura 4 minuti in più perché questo è il tempo che occorre alla Terra per raggiungere il punto dell’orbita da cui rivedere il Sole nella posizione in cui l’aveva lasciato l’alba precedente, punto che nel frattempo è avanzato di 1°. A causa dell’alta velocità, su Mercurio succede un fenomeno curioso, ossia che il giorno solare è più lungo dell’anno! In pratica quando ci si risveglia all’alba su Mercurio, il pianeta ha fatto in tempo a girare due volte attorno al Sole.

L’osservazione di Mercurio è piuttosto ardua sia per la sua vicinanza al Sole che lo inonda della sua luce, sia perché rimane basso sull’orizzonte e perciò la sua immagine risente maggiormente della turbolenza della nostra atmosfera. Inoltre il pianeta ha una capacità riflettente, la cosiddetta albedo, che è la più bassa del Sistema Solare ed è dell’14%, dunque di tutta la luce solare che lo investe, ne restituisce solo questa piccola percentuale. Ci sono però dei momenti particolari in cui il piccolo pianeta si offre alla nostra vista alle migliori condizioni e questo accade quando raggiunge le massime elongazioni est e ovest (Fig. 6).

L’elongazione massima è una posizione particolare che possono assumere solo i pianeti interni alla Terra, quelli cioè la cui orbita è compresa in quella terrestre, dunque Mercurio e Venere. Vi sono due punti lungo le loro orbite in cui l’angolo formato dal pianeta e il Sole è massimo visto dalla Terra. Quest’angolo si trova tracciando dalla Terra le due tangenti all’orbita del pianeta. Esso corrisponde in definitiva alla massima distanza del pianeta dal Sole e quindi alla posizione in cui la luce solare lo colpisce di meno. Nel caso di Mercurio, l’elongazione massima raggiunta varia dai 18° ai 28° a causa dell’orbita eccentrica; il punto più vicino al Sole, detto perielio, si trova a 46 milioni di chilometri, mentre quello più lontano, l’afelio, a ben 70.000.

I valori dell’elongazione di Mercurio sono ancora bassi per consentirne la visione ottimale e tuttavia sono i migliori che si possono avere. Sempre per via dell’orbita fortemente ellittica di Mercurio, le due elongazioni si alternano con un periodo di circa 44 giorni fra la est e la ovest e di circa 74 giorni fra la ovest e la est. La massima elongazione ovest implica inoltre che il pianeta è visibile come astro del mattino un paio d’ore prima dell’alba del Sole in quanto trovandosi a ovest di esso, lo precede nella traversata quotidiana del cielo da est a ovest, ossia sorge prima del Sole; al contrario, quando si trova nella posizione di massima elongazione est, il pianeta segue il Sole, trovandosi a est di esso e dunque è visibile come astro della sera, per un paio d’ore dopo il tramonto.

Mercurio è il pianeta del Sistema Solare con la massa più piccola, 18 volte inferiore a quella terrestre (Fig. 7), e questo fa sì che se sulla Terra bisogna viaggiare a 40.284 km/h per sfuggire al suo campo gravitazionale, su Mercurio è sufficiente una velocità di 15.300 km/h. Per questa ragione, Mercurio non è in grado di trattenere un’atmosfera attorno a sé e l’impresa è resa ancora più impossibile dall’estrema vicinanza al Sole che col suo forte vento soffia via tutto il gas che potrebbe eventualmente essere trattenuto da Mercurio. Sempre la sua piccola distanza dalla stella, fa sì che la faccia di Mercurio esposta al Sole raggiunga temperature di oltre 400°C, superando così la temperatura di fusione del piombo che è di 340°C. Quella oscura invece precipita a 173°C sottozero così che un unico piccolo pianeta è fuoco e ghiaccio insieme, un ambiente proibitivo la cui superficie è cotta e congelata a brevi intervalli di tempo. Mercurio infatti ha una crosta simile alla Luna, piena di crateri, segno che deve aver subito un intenso bombardamento di meteoriti, peraltro non ostacolato da alcuna atmosfera, e con alcuni mari, indice che il pianeta deve aver conosciuto in passato un’attività vulcanica, probabilmente scatenata dalla

fig.6fig.7

caduta di enormi meteoriti, per cui grandi quantitativi di lava si sono riversati sulla superficie andando a formare dei grandi bacini che il calore del giorno e il gelo della notte hanno quasi istantaneamente solidificato. Il nucleo di Mercurio invece sembra molto simile a quello terrestre, ossia formato da ferro e nikel. Su Mercurio infine non esistono le stagioni, poiché il suo equatore è complanare all’orbita di rivoluzione attorno al Sole, l’eclittica, che è come dire che il suo asse di rotazione è perpendicolare al piano dell’eclittica.

fig.8

VENERE

A 108 milioni di chilometri dal Sole, troviamo uno dei nostri due vicini di casa, il pianeta Venere, distante da noi circa 41 milioni e mezzo di chilometri (Fig. 8).

Venere è il pianeta più splendente del Sistema Solare, capace di riflettere il 65% della luce del Sole, quasi il doppio della Terra. Al massimo del suo fulgore raggiunge una magnitudine di –4,4, dominando così l’angolo di cielo in cui è ospitata. Gli Antichi Greci infatti chiamavano il pianeta Fosforo, ossia portatore di luce da phòs che significa luce e phoròs portatore, quando era la stella del mattino ed Espero, da èsperos, la parola greca per sera, quando lo si vedeva al tramontar del Sole.

Allo stesso modo lo conoscevano i Romani, per i quali era Lucifero al mattino e Vespero alla sera.

Grazie alla sua posizione rispetto alla Terra, interna e adiacente, Venere mostra le fasi così come avviene per la Luna (Fig. 9). Il primo a godersi lo spettacolo fu Galileo nel 1610, perché a occhio nudo non sono percepibili, ma con un cannocchiale sì. Il pianeta infatti durante la sua orbita attorno al Sole viene da questi illuminato progressivamente di modo che, a seconda della prospettiva, lo vediamo ammantarsi gradualmente di luce e altrettanto gradualmente spogliarsi di essa. In particolare, raggiunge la fase piena quando è in congiunzione superiore, ossia quando è allineato con la Terra e il Sole, quest’ultimo trovandosi al centro dei due pianeti, mentre è nella fase nuova, dunque invisibile, quando è in congiunzione inferiore, cioè allineato con la Terra e il Sole e frapposto a essi (Fig. 10).

fig.9

fig.10

In tutte le altre posizioni, si hanno le fasi intermedie (Fig. 11). Il massimo splendore tuttavia non si ha quando Venere è in fase piena, perché in congiunzione superiore il pianeta è anche nel punto più lontano dalla Terra, a 259 milioni di chilometri. La più alta luminosità si ha invece in prossimità della congiunzione inferiore, cioè poco prima o poco dopo la fase nuova, quando si trova più vicino alla Terra, a soli, si fa per dire, 40 milioni di chilometri. E’ qui che la falce raggiunge il magnifico splendore di –4,4 magnitudini avendo un disco 6 volte più grande.

Come Mercurio, essendo un pianeta interno all’orbita terrestre, è visibile o poco dopo il tramonto per un paio d’ore o poco prima dell’alba sempre per lo stesso intervallo di tempo (Fig. 6). E questo infatti è anche il motivo per cui fu chiamato fin dai tempi antichi astro del mattino o astro della sera.

fig.11
fig.12

L’orbita interna e la distanza che separa Venere dal Sole fa sì che il pianeta si trovi ad una distanza angolare massima dalla stella alternativamente a est del Sole e a ovest di esso. Mentre per Mercurio questo angolo massimo varia dai 18° ai 28°, per Venere che ha un orbita quasi circolare, è di 48°, così che segue o precede il Sole tenendosi al massimo a questa distanza. Precedere o seguire il Sole significa vedere rispettivamente il pianeta prima dell’alba quando è a ovest del Sole, il quale deve quindi ancora sorgere, o dopo il tramonto quando è a est del Sole, il quale tramonta consentendo così all’oscurità di avanzare e di svelare il pianeta. Il fatto che Venere non rimanga visibile per tutta la notte è dovuto all’altezza raggiunta sull’orizzonte che è solo di qualche decina di gradi, così che la parabola che descrive rimane bassa incontrando presto la linea che lo inghiottirà.

Venere è per molti aspetti il pianeta più simile alla Terra (Fig. 12); il suo raggio equatoriale di 6.051 km è di pochissimo inferiore a quello terrestre di 6.371 km, la massa è l’80% di quella del nostro pianeta, mentre la densità è inferiore solo del 5% e la velocità di fuga di 37.296 km/h è paragonabile ai 40.284 km/h necessari per sfuggire al campo gravitazionale terrestre. Ma le somiglianze finiscono qui. A dispetto della dea evocata dal suo nome, Venere è un pianeta decisamente infernale. La sua atmosfera è vero e proprio veleno perché è fatta in prevalenza di anidride carbonica e di acidi anche se solo al 3%; inoltre è talmente densa e spessa – ben 80 km – da rendere imperscrutabile il pianeta oltre che soffocarlo in un micidiale effetto serra che surriscalda la superficie a 480°C! Forti venti soffiano sugli strati atmosferici più esterni mostrandoci così il pianeta avvolto da numerose striature chiare: sono le nubi di anidride carbonica che vengono trascinate nel cielo incandescente di Venere (Fig. 13). Potremmo dire che con la dea dell’amore questo pianeta condivide solo il carattere di mistero, poiché i moltissimi veli che lo fasciano impediscono la conoscenza dettagliata del suo suolo; tant’è che ciò che sappiamo a riguardo risale a pochi decenni fa. Più di una sonda spaziale si è liquefatta nel tentativo di atterrare sul terreno venusiano. Dalle osservazioni radar oggi sappiamo che la superficie di Venere è rocciosa con qualche grosso cratere. A differenza di Mercurio e della Luna, quelli piccoli mancano poiché proprio grazie alla sua spessa atmosfera, gli impatti di piccoli o medi meteoriti sono stati contrastati e questi corpi celesti polverizzati ad alta quota. Solo i meteoriti di grandi dimensioni hanno potuto attraversare la fitta coltre di nubi schiantandosi al suolo e lasciando il segno. Si sono poi viste catene montuose e anche un canale di 1.500 km vicino all’equatore.

Venere inoltre possiede una particolarità nella sua rotazione su sé stessa. Se il moto attorno al Sole avviene in senso antiorario come quasi tutti i pianeti del Sistema Solare e con un periodo di 224 giorni, quello su sé stessa avviene in senso contrario e si dice perciò che il suo moto è retrogrado. Su Venere quindi il Sole sorge a ovest e tramonta a est, ma oltretutto il giorno lassù è molto più lungo: esso dura ben 243 dei nostri giorni. In pratica il giorno di Venere è più lungo del suo anno, ossia impiega di più a ruotare su sé stessa che attorno al Sole!

Insomma, anche se fosse possibile trovare un modo per sopravvivere su questo pianeta, sarebbe ben difficile, per non dire impossibile, riuscire a regolare la nostra vita quotidiana, considerando oltretutto che nemmeno le stagioni possono venirci in aiuto; su Venere infatti sono pressoché inesistenti essendo il suo piano equatoriale inclinato di soli 3° rispetto all’eclittica e la sua orbita percorsa velocemente…

fig.13
fig.14

MARTE

Insieme a Venere, Marte è il nostro secondo vicino di casa (Fig. 14). Terzo pianeta del Sistema Solare, è il primo dei cosiddetti pianeti esterni, con riferimento all’orbita della Terra. Esso però viene anche classificato come pianeta terrestre, in quanto a differenza dei giganti gassosi posti a 550 milioni di chilometri e oltre, è ancora di tipo solido.

Marte si trova a una distanza media dal Sole di 228 milioni di chilometri, circa una volta e mezzo la distanza che separa la Terra del Sole e impiega 687 giorni a compiere un giro completo intorno alla stella. In pratica là un anno ne dura due dei nostri. Il tempo impiegato a ruotare intorno al proprio asse invece è molto simile a quello terrestre: il giorno sul pianeta dura infatti solo 37 minuti in più del nostro. Oltretutto l’asse marziano è inclinato di 25,2°, un paio di gradi in più rispetto a quello terrestre e questo fa sì che su Marte ci sia il ciclo delle stagioni. La loro durata tuttavia non è equipartita come accade sulla Terra, perché l’orbita di Marte è piuttosto eccentrica, allungata, e dunque la velocità con cui viene percorsa varia notevolmente. La conseguenza è che quando Marte si trova all’afelio, il punto più lontano dal Sole, viaggia più lentamente di quando invece si trova al perielio, il punto più vicino. Pertanto la stagione corrispondente all’afelio dura di più di quella del perielio. In particolare, l’estate dura 156 giorni, dunque poco più di 5 mesi, l’autunno 6 mesi e mezzo con i suoi 164 giorni, l’inverno con 177 giorni ne dura sei, mentre la primavera 5 mesi scarsi con 142 giorni. C’è da dire però che l’estate su Marte non ha niente a che vedere con la stagione cui siamo abituati noi. Il pianeta infatti è molto più lontano di noi dal Sole per cui i suoi raggi arrivano decisamente più freddi e le caratteristiche fisiche del pianeta non gli consentono di trattenere adeguatamente il calore; Marte infatti nel suo periodo più caldo raggiunge a malapena i 10°C, mentre in inverno la temperatura scende quasi a 90°C sottozero!

fig.15 fig.16

E sebbene questa sia in realtà una temperatura ancora sostenibile dall’uomo, certamente abituarsi non sarebbe affare da poco. Ai poli la temperatura precipita addirittura a 140°C sottozero e più, proibitiva per la nostra specie. Là, si possono osservare le calotte (Fig. 15), bianche come quelle della Terra, un’altra caratteristica che ci fa sentire questo pianeta così di casa. Esse sono soggette a vistose contrazioni seguite da espansioni dovute all’estate che le prosciuga e all’inverno per cui si riformano (Fig. 16). Ma di nuovo la somiglianza si limita all’immagine, perché le calotte polari non sono composte di acqua come da noi, bensì di anidride carbonica ghiacciata, il cosiddetto ghiaccio secco. E infatti l’anidride carbonica è il costituente principale dell’atmosfera marziana, la quale presenta solo in tracce l’azoto e l’ossigeno tanto importanti per noi. L’atmosfera è inoltre molto rarefatta, peculiarità che da un lato permette di osservare il suolo del pianeta senza difficoltà – vera e propria impresa invece su Venere inghiottito dalle nubi – ma dall’altro offre ad esso poca protezione per cui, nell’eventualità di un impatto significativo con un meteorite, il pianeta potrebbe non avere sopra di sé uno scudo adeguato.

fig.17
fig.18

Tutte queste dimensioni enormi farebbero pensare a chissà quale volume per il pianeta, ma invece Marte è piccolo, il suo diametro di 6.779 km è solo la metà di quello terrestre (Fig. 19). Se ci spostassimo lassù in 7 miliardi quali siamo, staremmo stretti, anche se non essendoci mari e oceani, potremmo abitare tutta la superficie del pianeta. Sicuramente per viverci, dovremmo disporre dell’acqua, elemento indispensabile per la vita e trovare l’acqua rimane la grande speranza e il grande sogno degli scienziati. Pur con tutte le sue piccole grandi diversità, Marte è il pianeta dove l’uomo ha una possibilità concreta di poter arrivare. E l’acqua forse c’è davvero o c’è stata. Il fatto che nell’atmosfera vi sia qualche traccia di essa insieme all’esistenza di caratteristiche areografiche spiegabili solo con la presenza di un liquido, lascia pensare che in passato essa vi sia stata in quantità maggiore e che magari oggi si trovi allo stato solido sotto la crosta marziana. Nel 1877 il sogno sembrava essersi avverato con l’astronomo Giovanni Schiaparelli che vide il pianeta rigato da moltissimi canali (Fig. 20) e pensò che si trattasse di un’immane opera idraulica per trasportare l’acqua dalle calotte di ghiaccio, costruita da esseri di intelligenza superiore, i Marziani! Ma così non era. I canali erano solo un’illusione ottica, oggi sappiamo che si tratta di catene montuose o di giochi d’ombre.

fig.19
fig.20

Marte insomma è ancora un pianeta al di fuori della nostra portata e forse per fortuna; dobbiamo accontentarci di guardarlo dalla Terra, magari al telescopio. Allora ciò che balza all’occhio è il suo colore aranciato, tant’è che non a caso è conosciuto come il Pianeta Rosso, perché nell’immaginario antico ricordava il sangue, dunque il combattimento e da qui il nome del dio latino della guerra. L’aspetto rubino di Marte è dovuto al suolo composto prevalentemente da ossido ferrico, dove sterminati deserti rocciosi si susseguono in un silenzio surreale, ma è anche dovuto alle violentissime tempeste di polvere e sabbia, anch’esse di natura ferrosa, sollevate da venti che arrivano a soffiare fino a 400 km/h.

Questo sconvolgimento climatico è scatenato dalle calotte polari, la cui anidride carbonica ghiacciata in combinazione con la bassissima densità atmosferica, sublima all’arrivare dell’estate, ossia passa dallo stato solido direttamente allo stato gassoso saltando quello liquido. Si generano così grandi sbalzi di pressione che si traducono in bufere che trasportano su tutto il pianeta grandi quantità di polvere conferendogli il colore che lo contraddistingue.

fig.21
fig.22

Marte possiede due satelliti. Si tratta di grossi massi dalla forma irregolare, il più lontano dei quali gli gira attorno a una distanza di 23.500 km. Furono scoperti dall’astronomo americano Asaph Hall nel 1877 e in sintonia con l’identità mitologica del pianeta, furono battezzati col nome di Phobos e Deimos che in greco significano Paura e Terrore. Phobos (Fig. 21) è il più grande con una dimensione massima di circa 27 km, mentre Deimos (Fig. 22) è discretamente più piccolo con un’estensione massima di 15 km. Dal momento che Marte si trova piuttosto vicino alla fascia degli asteroidi, con molta probabilità i due satelliti sono proprio due asteroidi che un tempo si avvicinarono al pianeta e vennero catturati dal suo campo gravitazionale. Phobos, il più vicino, ruota molto velocemente intorno a Marte, tanto che in un giorno marziano compie ben tre rotazioni attorno ad esso. Inoltre, percorre la sua orbita in senso contrario a quello dei pianeti, per cui su Marte lo si vedrebbe sorgere a ovest e tramontare a est.

fig.23

Marte infine, essendo il primo pianeta esterno, inaugura alcune configurazioni particolari per quanto riguarda la sua disposizione rispetto al Sole, naturalmente guardandolo dalla Terra. Si tratta delle congiunzioni, delle opposizioni e delle quadrature (Fig. 23). Un pianeta esterno si dice in congiunzione, sottinteso col Sole, quando quest’ultimo si trova fra la Terra e il pianeta. Si dice che il pianeta è in congiunzione col Sole perché è illuminato da esso. Non è tuttavia visibile per noi, proprio perché abbiamo davanti la stella. Si parla invece di opposizione, sempre rispetto al Sole, quando è la Terra che si frappone alla stella e al pianeta. In questa configurazione sorge e tramonta 12 ore dopo il Sole, in pratica è visibile per tutta la notte, e inoltre si offre nella sua miglior condizione di visibilità. Il pianeta infatti mostra il lato illuminato dal Sole ed è nel punto più vicino alla Terra così che il suo diametro apparente è massimo. In cielo è alto e questo lo sottrae ai disturbi atmosferici e luminosi delle fasce prossime all’orizzonte. La quadratura si ha invece quando il pianeta si trova in quel punto della sua orbita tale per cui l’angolo sotteso dalla Terra forma un angolo retto. In particolare si parla di quadratura occidentale quando il pianeta si trova a ovest del Sole, dunque lo segue, e di quadratura orientale quando lo precede a est. In quadratura orientale, il pianeta sorge 6 ore dopo il tramonto del Sole, quindi è visibile nella prima metà della notte, mentre in quadratura occidentale sorge 6 ore prima dell’alba del Sole, ossia è visibile nella seconda parte della notte. Il miglior periodo per osservare un pianeta esterno dal punto di vista di permanenza, altezza nel cielo e di luminosità è dunque quello dell’opposizione che, nel caso di Marte si verifica circa ogni due anni, piuttosto raramente quindi. Quando però avviene, il suo splendore raggiunge -2,9 magnitudini, una luminosità davvero alta, superata solo da Venere e da Giove.

fig.24

GIOVE

Dopo Marte, nel Sistema Solare c’è un grande vuoto prima di incontrare un pianeta. Bisogna percorrere più di mezzo miliardo di chilometri per rabbrividire dinanzi al gigantesco Giove (Fig. 24).

Prima, a 200 milioni di chilometri dalla Terra, ci si imbatte nella fascia degli asteroidi (Fig. 4) che si estende per altri 223 milioni di chilometri. Gli asteroidi sono delle enormi rocce che vagano sospese nello spazio su un’orbita compresa fra quella di Marte e quella di Giove e rappresentano il pianeta mancato, o mancante, del Sistema Solare. Queste centinaia di migliaia di massi infatti, se si fossero aggregate insieme, avrebbero costituito un pianeta, proprio alla distanza di 3 UA come voleva la legge di Titius-Bode sulla progressione delle distanze; ma il forte campo gravitazionale di Giove non ha permesso che ciò avvenisse e così quel pianeta è rimasto in briciole.

Gli asteroidi sono dunque controllati dal campo gravitazionale di Giove e hanno le forme più diverse, si va da quelli tondeggianti come Cerere (Fig. 25) o Vesta (Fig. 26) a quelle allungate di Eros (Fig. 27) e Ida (Fig. 28).

fig.25
fig.26
fig.27
fig.28

Se la fascia degli asteroidi rappresenta un pianeta mancato, Giove è invece una stella mancata. Dopo il Sole, la cui massa costituisce il 99,87% del Sistema Solare, vi è Giove che, con una massa 318 volte quella terrestre (Fig. 29), pesa per lo 0,10%. La percentuale è solo apparentemente un nulla sul totale, perché se durante la sua formazione Giove avesse raggiunto una massa 80 volte maggiore, si sarebbe acceso e sarebbe diventato una stella. Il Sistema Solare allora sarebbe stato un sistema binario formato dal Sole e dalla sua stella compagna Giove, così che noi avremmo avuto due soli a scandire il nostro tempo. C’è da dire che in realtà tutti gli attuali equilibri sarebbero stati molto diversi, forse non sarebbe stata nemmeno possibile la vita, ma da un punto di vista dinamico possiamo citare queste fra le conseguenze più evidenti.

Giove pur non essendo una stella custodisce in sé tutti gli elementi dei corpi celesti che sprigionano luce. E’ infatti composto in massima parte da idrogeno ed elio i quali inoltre si trovano allo stato gassoso, proprio come la composizione e lo stato delle stelle. La sua atmosfera inoltre è molto densa e per questo riflette gran parte della luce solare. Per questo motivo quando è al massimo del suo splendore raggiunge una magnitudine apparente di –2,8, risultando così il pianeta più luminoso dopo Venere.

Giove viaggia su un’orbita non particolarmente eccentrica a una distanza media dal Sole di quasi 780 milioni di chilometri. Per via della grande distanza anche il tempo di percorrenza si allunga, tanto che un anno gioviano corrisponde a ben 12 dei nostri.

fig.29

Completamente diverso è invece il discorso per ciò che riguarda l’alternarsi del dì e della notte. Il suo stato gassoso fa sì che Giove ruoti su sé stesso velocissimamente, quasi a 13 km/s, portandolo a compiere un giro completo su sé stesso in 9 ore e 55 minuti. Ogni 10 ore quindi su Giove sorge e tramonta il Sole. Potenzialmente quando il pianeta si trova in opposizione ed è quindi visibile tutta la notte, si potrebbe osservare tutta la sua superficie dato che farebbe in tempo a compiere una rotazione completa.

Sempre a causa del suo stato gassoso inoltre, non ruota su sé stesso come un corpo rigido, ma presenta una rotazione differenziale, ossia con velocità diverse dall’equatore ai poli. Quella equatoriale è la fascia che si muove più velocemente, mentre le regioni polari viaggiano con 5 minuti di ritardo.

Velocità diverse di rotazione si traducono in turbolenze atmosferiche incredibili e infatti Giove è un pianeta continuamente in burrasca. I venti soffiano anche a 650 km/h in direzione latitudinale, ma in modo disordinato per via della rotazione differenziale. Probabilmente le differenti velocità di rotazione sono all’origine anche della particolare struttura atmosferica. Giove infatti appare suddiviso in fasce di varie colorazioni (Fig. 30). Si possono distinguere fondamentalmente delle bande scure, dette cinture, e delle bande chiare, dette fasce, alternate fra loro. Si tratta di nuvole di diversa composizione chimica. Quelle nelle tonalità del marrone sono fatte di idrosolfuro di ammonio polimerizzato, mentre quelle bianche sono costituite da ammoniaca solida. Spesso poi i colori appaiono frastagliati a testimonianza dell’enorme turbolenza cui è sottoposta l’atmosfera gioviana. Anche la temperatura è molto diversa nelle cinture e nelle fasce. Se nelle prime si aggira sui 40° sottozero, nelle seconde raggiunge i 130° sottozero! Giove è un pianeta freddissimo, così come tutti i pianeti esterni. Là i raggi del Sole giungono appena e il gelo cosmico avvolge questi giganti in tumulto.

Di Giove però colpisce indubbiamente anche un’altra regione, quella della Grande Macchia Rossa (Fig. 31). Nell’emisfero meridionale, appena sotto l’equatore, si sviluppa un enorme vortice rossastro che altro non è che un anticiclone come ce ne sono anche sulla Terra, con la differenza però che questo è grande quanto il nostro pianeta. La sua forma è ovale con un asse maggiore di 40.000 km e un asse minore di 14.000, mentre la sua rotazione avviene in circa 6 giorni. Rimane un po’ un mistero l’origine della Macchia Rossa nel senso che, se è vero che su Giove cicloni e anticicloni si verificano con elevata frequenza dato il suo carattere di incessante turbolenza, non è ancora ben chiaro come abbia potuto formarsi una struttura di simili dimensioni. Ciò che invece è sicuro, è che proprio l’estensione colossale garantisce la permanenza del vortice, di cui sappiamo che esiste da almeno tre secoli.

fig.30
fig.31

Giove si distingue anche per il suo intensissimo campo magnetico, 14 volte più forte di quello terrestre, il più potente del Sistema Solare. La sua polarità però è invertita, ossia là l’ago magnetico punta a sud anziché a nord.

Nel 1974 si è scoperto a poco meno di 60.000 km da Giove un debole anello di 30 km di ampiezza (Fig. 32). Si tratta di polveri, probabilmente silicati, la cui formazione si ritiene sia connaturata a quella del pianeta.

Ma l’anello non è l’unica struttura a ruotare attorno a Giove. Quest’ultimo infatti possiede ben 66 lune, 50 delle quali ufficiali. D’altra parte il campo gravitazionale di Giove è immenso, per cui è piuttosto facile che corpi minori che capitino nelle vicinanze vengono catturati; sfuggirgli poi richiederebbe una velocità di 217.000 km/h, non indifferente se si pensa che è più di 5 volte quella necessaria per svincolarsi dalla gravità terrestre.

La scoperta dei satelliti di Giove risale a pochi decenni fa eccetto per i più luminosi che furono visti per la prima volta dal rivoluzionario Galileo. In due notti, il 7 e l’8 gennaio 1610, l’astronomo pisano alla corte dei Medici, distinse nel suo cannocchiale quattro piccoli puntini di luce attorno a Giove. La scoperta fu estremamente importante ai fini della comprensione del Sistema Solare, poiché il pianeta con le sue lune può considerarsi un sistema solare in miniatura, così che dall’osservazione dei loro movimenti si iniziarono a fare le prime ipotesi sul comportamento dinamico della Terra, della Luna e così via.

fig.32

Galileo volle dedicare le piccole preziose gemme del firmamento al granduca di Toscana Cosimo II de’ Medici, suo discepolo che fin da subito gli dimostrò profonda ammirazione. Lo scienziato, che era in procinto di pubblicare il libro Sidereus nuncius dove avrebbe incluso anche l’ultima scoperta, avrebbe voluto chiamare le quattro lune “Satelliti Cosmici”, giocando sull’assonanza del nome del giovane principe con la parola celeste ma, sconsigliato dal Segretario di Stato, li battezzò più sobriamente come “Satelliti Medicei”, mentre dedicò l’opera a Cosimo.

Così facendo però innescò una disputa con un astronomo tedesco, Simon Marius, il quale sosteneva di aver scoperto lui per primo i quattro satelliti.

chiarito chi dei due avesse ragione, dato che Galileo smentiva categoricamente questa possibilità, ma è probabile che i due astronomi avessero visto questi corpi celesti in modo indipendente e quasi contemporaneamente. Il risultato di questa controversia fu che i satelliti medicei o galileiani hanno una doppia paternità: una relativa alla scoperta che fu attribuita a Galileo se non altro per il fatto che non vi fu nessuna pubblicazione anteriore della conquista e una pertinente i loro nomi, dovuti invece a Simon Marius. Fu lui infatti a chiamarli Io, Europa, Ganimede e Callisto, quattro degli amori di Giove (Fig. 33).

Dei quattro satelliti, tutti di natura rocciosa, Io è quello più vicino a Giove e il più bersagliato (Fig. 34). Questa piccola luna di 3.650 chilometri di diametro è un susseguirsi di vulcani di zolfo in costante attività per via dell’elevata azione mareale esercitata dal pianeta. Io ruota attorno a Giove a una distanza media di 422.000 chilometri e compie un giro completo in 42 ore e mezzo, lo stesso tempo impiegato per ruotare su sé stesso. Ciò significa che Io rivolge sempre la stessa faccia a Giove, esattamente come accade per la nostra Luna.

fig.33
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fig.35
fig.36
fig.37

Allontanandosi di altri 250.000 chilometri, incontriamo Europa (Fig. 35), un satellite di natura opposta a quella di Io. Se Io infatti vive sotto il segno del fuoco, Europa invece trionfa sotto quello dell’acqua. Proprio così: l’acqua, l’elemento che rende possibile la vita. La luna che, quasi come per destino porta il nome del nostro continente, è ricoperta da oceani di ghiaccio e non è escluso che sotto la sua superficie l’acqua scorra allo stato liquido. Addirittura il contenuto di acqua sarebbe il doppio di quello terrestre e se si pensa che questo satellite ha un diametro di poco più di 3.000 chilometri, quasi come la nostra Luna, è come dire che è Europa è una sfera piena d’acqua. Tant’è che l’attenzione degli astrobiologi per questo corpo celeste è massima ai fini della scoperta di qualche forma di vita. Europa impiega poco più di 3 giorni e mezzo a ruotare attorno a Giove e altrettanti per fare un giro su sé stessa. Come Io, il suo moto è sincrono e volge sempre lo stesso lato al pianeta. La sua orbita ellittica fa sì che quando si trova nel punto più vicino al pianeta, subisca un’intensa azione mareale la quale provoca l’innalzamento dell’acqua che scorre sotto la superficie così che si generano delle crepe nella crosta, motivo per cui il satellite appare tutto striato.

A due volte e mezzo la distanza di Io da Giove, dunque a circa un milione di chilometri dal pianeta, ecco Ganimede dal color bronzeo (Fig. 36). Ganimede si distingue per essere il satellite più grande del Sistema Solare; col suo diametro di circa 5.300 chilometri è addirittura più grande di Mercurio. Non è classificato come pianeta semplicemente perché ruota attorno a Giove anziché attorno al Sole. Oltretutto, essendo il suo nucleo di ferro, è l’unica luna a possedere un campo magnetico. Anche Ganimede ha una crosta di ghiaccio e anche molto spessa, ben 800 chilometri. Si è scoperto inoltre che ha un’atmosfera e che è composta di ossigeno. Tuttavia lo strato è così tenue da escludere lo sviluppo di una qualche forma di vita. Come Io ed Europa anche Ganimede percorre la sua orbita nello stesso tempo con cui ruota su sé stesso e in particolare impiega una settimana terrestre.

A quasi 2 milioni di chilometri da Giove danza infine la bella luna Callisto, che pare quasi d’oro (Fig. 37). Il suo colore è dovuto all’elevato potere riflettente che è quasi il doppio della Luna. Come il nostro satellite, Callisto è completamente craterizzata, segno che in passato è stata bersagliata ripetutamente da meteoriti. Questo satellite è anche il più antico del Sistema Solare, la sua età è stimata in 4 miliardi di anni. Come nel caso di Ganimede, anche Callisto ha dimensioni notevoli, grossomodo come Mercurio con un diametro di 4.800 chilometri e ruota con moto sincrono in 17 giorni. Di tutti gli altri satelliti svelati negli ultimi decenni dalle sonde, Amalthea è quello più vicino a Giove con una distanza di 180.000 chilometri, mentre Sinope è il più lontano a ben 24 milioni di chilometri, il che ben rende l’idea dell’intensità del campo gravitazionale di Giove. Sinope impiega due anni a orbitare attorno al gigantesco pianeta.

fig.38

SATURNO

A 650 milioni di chilometri da Giove si sposta lentamente Saturno (Fig. 38). Questo è l’ultimo pianeta conosciuto dagli antichi e occorrerà attendere parecchi secoli prima di scoprire che il Sistema Solare non finisce qui, dovranno passare più di mille anni. Saturno si trova a una distanza di 9,5 UA; in pratica dopo Giove bisogna raddoppiare la sua distanza dal Sole per arrivare a Saturno. Non stupisce dunque che per completare una rotazione attorno alla stella questo pianeta impieghi quasi 30 anni! Esso di conseguenza attraversa molto lentamente anche le costellazioni e perciò lo vediamo giacere in una costellazione per parecchio tempo. Se poi quest’ultima è anche di vaste proporzioni, ecco che la permanenza di Saturno in essa si protrae ulteriormente. E’ quanto è accaduto da settembre 2009 quando il pianeta è entrato nella costellazione della Vergine – la seconda più grande delle 88 esistenti – e vi è uscito solo a novembre 2012, impiegando così ben 4 anni a transitare lungo la costellazione. L’enorme distanza penalizza anche lo splendore di Saturno che a occhio nudo raggiunge al massimo 0,43 magnitudini, quando invece per sua natura è un corpo celeste ad alto potere riflettente.

Completamente diversi invece sono i tempi di rotazione su sé stesso che si aggirano sulle 10 ore e mezza, grossomodo come avviene per Giove col quale ha moltissime caratteristiche in comune. Anche Saturno infatti è un pianeta dalle dimensioni vistose. Ha un diametro di circa 116.000 chilometri (Fig. 39), poco inferiore a quello di Giove, ed è anch’esso composto in massima parte da idrogeno e da elio allo stato gassoso. Per via dell’alta velocità con cui gira su sé stesso, l’atmosfera di Saturno appare suddivisa in fasce chiare e scure a seconda della composizione chimica delle nubi, esattamente come accade su Giove; anche qui i venti sono fortissimi, raggiungono addirittura i 1.800 km/ora e violente tempeste flagellano il pianeta di continuo. Su Saturno però le bande parallele sono molto meno evidenti per via di una fitta nebbia che lo avvolge dandogli una colorazione complessiva giallo chiaro.

Sempre l’alta velocità e il fatto che essa varia diminuendo dall’equatore ai poli, è responsabile dello schiacciamento settentrionale e meridionale; in particolare il pianeta è quello che presenta la compressione polare più marcata del Sistema Solare.

Al di sotto dell’atmosfera, Saturno ha una superficie liquida fatta di idrogeno, mentre solo il suo nucleo, grande come due Terre, è solido e di tipo roccioso. Ma nonostante la presenza di questa componente compatta e una massa che è 95 volte quella della Terra, il suo volume è talmente dilatato che la densità di Saturno risulta bassissima, solo 0,7 grammi al centimetro cubo. E’ la più bassa del Sistema Solare ed è anche inferiore alla densità dell’acqua, tant’è che se vi fosse immerso, galleggerebbe.

Anche su Saturno regna il gelo. Il pianeta riceve solo 1/100 del calore del Sole e così la temperatura in superficie segna 178° sottozero.

Il nucleo di Saturno sprigiona un campo magnetico 1000 volte più intenso di quello terrestre dando origine al fenomeno delle aurore, come avviene sulla Terra ma con effetti ancora più spettacolari. I poli magnetici coincidono con quelli geografici, pertanto il nord segnato dall’ago della bussola porta effettivamente alla sommità dell’emisfero settentrionale.

fig.39
fig.40

Ciò che caratterizza in modo inconfondibile Saturno però sono i suoi anelli (Fig. 40). Sebbene la loro presenza sia stata rivelata anche attorno a Giove, Urano e Nettuno, quelli di Saturno sono i più luminosi e belli dei pianeti del Sistema Solare. Per vederli è necessario disporre di un buon binocolo e il primo uomo che ebbe il privilegio di intercettarli fu Galileo nel 1610, un anno indimenticabile per i suoi occhi che, proprio all’inizio dell’anno dentro quel cannocchiale divenuto famoso, avevano distinto le luci dei satelliti di Giove.

Galileo però non poté godere dello spettacolo di Saturno in tutta la sua magnificenza perché lo strumento utilizzato gli consentiva di capire solo che quasi a contatto col pianeta c’era qualcosa. Apparentemente sembravano dei satelliti, tre, tutti allineati fra loro in corrispondenza della fascia equatoriale, uno a est, uno a ovest e uno al centro. Bisognò attendere 45 anni per risolvere quell’immagine nella sua verità. Era il 1655 quando l’astronomo olandese Christiaan Huygens vide Saturno circondato da un grande anello di 276.000 chilometri di diametro. Ma si trattava di una verità parziale: altri vent’anni e l’astronomo italiano Giovanni Domenico Cassini si accorse che l’anello era invece composto da due anelli concentrici separati da un grande spazio vuoto di 4.000 chilometri di diametro. Questa cerchio nero è noto come Divisione di Cassini. Il nuovo anello scoperto è il più luminoso e ha un diametro di 232.000 chilometri. Ancora altri anni e, grazie al potenziamento degli strumenti astronomici, gli anelli diventarono tre; ve n’era uno ancora più interno del diametro di 142.000 chilometri. Quest’ultimo è davvero poco luminoso e appare come una tenue velatura tanto che attraverso di esso si vedono le stelle.

fig.41

Oggi sappiamo, grazie alle sonde Voyager inviate a partire dalla fine degli anni ’70, che il complesso anulare ammonta addirittura a 7 elementi, ciascuno identificato utilizzando la successione delle lettere alfabetiche.

Gli anelli poi proiettano la loro ombra sul pianeta offrendo allo spettatore uno spettacolo davvero suggestivo.

L’asse di rotazione di Saturno inoltre è inclinato di 27° e questo fa sì che mentre percorre la sua orbita attorno al Sole cambi l’inclinazione rispetto alla Terra. Così facendo anche gli anelli si mostrano in prospettive diverse oscillando da 0° a 27° (Fig. 41). Quando si presentano a noi di taglio, sono invisibili anche ai telescopi più potenti perché il loro spessore è sottilissimo, arriva anche a soli 200 metri, si riducono in pratica a un filo teso.

Ma di che cosa sono fatti gli anelli di Saturno? Si è rivelato che si tratta di milioni frammenti di ghiaccio o di neve ghiacciata o di rocce ghiacciate, le cui dimensioni variano da microscopici granelli a solidi dell’ordine della decina di metri, i quali ruotano in sospensione attorno al pianeta e su sé stessi. E’ proprio il loro momento angolare che ne impedisce la cattura da parte del campo gravitazionale di Saturno, mentre il ghiaccio che ricopre queste particelle rendendole simili a cristalli, è responsabile della loro altissima luminosità. Gli anelli infatti hanno un potere riflettente, l’albedo, che è il doppio di quello di Saturno. Individuata la composizione, vien da chiedersi come si sia formato questo girotondo tanto affascinante. Le teorie sono due e probabilmente possono coesistere. Si pensa che si tratti dei resti di uno o più satelliti che si sono avvicinati troppo al pianeta e sono stati da questo disintegrati. Per ogni pianeta, vi è infatti un valore limite, pari a 2,4 volte il raggio, oltre il quale un corpo è sottoposto a perturbazioni tali da finire frantumato. Poiché il raggio di Saturno è di circa 58.000 chilometri, significa che tutto ciò che capita a 139.000 chilometri dal pianeta, si sbriciola e l’anello più esterno, A, si trova proprio dentro questa zona.

L’altra teoria invece fa risalire l’origine degli anelli alla disgregazione che subì l’atmosfera primordiale del pianeta quando si raffreddò negli stadi finali della sua genesi. L’ingente raffreddamento fece inizialmente condensare l’atmosfera, la quale poi si staccò e si dissolse in anelli.

Non tutta però: parte di questo involucro formò i satelliti più vicini di Saturno che infatti sono dislocati sullo stesso piano degli anelli. Titano, a 1 milione 200.000 chilometri dal pianeta, fu il primo a essere scoperto nel 1655 (Fig. 42). Gli orbita attorno in 16 giorni ed è la luna più grande alla corte di Saturno, superando per dimensioni Mercurio. Titano è anche l’unico satellite del Sistema Solare ad avere un’atmosfera.

Oggi Saturno è un pianeta con ben 62 lune, 53 delle quali ufficiali.

Quelle più luminose dopo Titano, che ha una magnitudine apparente di 9,33, sono Iapetus, Rea, Thetis, Dione, Enceladus, Mimas e Hyperion, tutte con splendore compreso fra le 10 e le 15 magnitudini (Fig. 43).

Enceladus, a 238.000 chilometri dal pianeta, è il suo satellite più vicino, mentre Febo è quella più lontana a una distanza di 13 milioni di chilometri.

fig.42
fig.43

URANO

Con Urano (Fig. 44) ci allontaniamo dal Sole di quasi 3 miliardi di chilometri e ci addentriamo là dove oscurità e gelo regnano sovrani. I raggi del Sole arrivano freddi e smorzati; là il giorno non è luminoso, somiglia piuttosto a una penombra. Urano non era conosciuto dai popoli antichi. Per Greci e Romani il Sistema Solare finiva con Saturno, non c’erano altri planetes, altre stelle erranti.

Si dovette attendere l’era dei telescopi inaugurata agli inizi del XVII secolo e, comunque, fino al 1781 non si conosceva Urano. Per lo meno come pianeta. Questo corpo celeste infatti era noto da tempo, anche perché quando si trova nel punto più vicino alla Terra, raggiunge la VI magnitudine che è lo splendore minimo percepibile dall’occhio umano. Tuttavia essendo così lontano, impiega moltissimo tempo a spostarsi nel cielo, ben 84 anni per compiere una rivoluzione attorno al Sole, mediamente 7 anni per attraversare le 12 costellazioni dello zodiaco, sicché il suo comportamento assomiglia di più a una stella fissa che non a un pianeta. E questa rimase la convinzione per tantissimi secoli. Galileo

stesso riteneva che quel punto luminoso fosse una stella. Ma nel 1781, quando i telescopi nel frattempo erano stati potenziati, accadde per caso che l’astronomo inglese di origine tedesca William Herschel compisse delle osservazioni su alcune stelle della costellazione dei Gemelli, dove in quegli anni stazionava Urano. Nell’oculare appariva Urano come un dischetto, dunque non poteva essere una stella poiché queste sono puntiformi e così pensò si trattasse di una lontanissima cometa. Ma la conclusione non lo convinceva e così si mise a studiare il moto di quella piccola luce, finché dopo un anno ne svelò la natura: aveva scoperto un pianeta, il settimo del Sistema Solare. In accordo con la tradizione antica, fu battezzato col nome del dio greco Urano, che significa cielo, perché il suo colore tendeva all’azzurro, ma anche perché un nuovo traguardo era stato raggiunto dall’uomo, la conoscenza umana aveva sconfinato oltre quella che con Saturno si pensava fosse l’ultima soglia del Sistema Solare: era un nuovo cielo che si era aperto.

Urano è un’enorme sfera di color verde pallido dal diametro lungo 50.000 chilometri, 4 volte quello della Terra (Fig. 45). La sua massa è 14,5 volte la massa del nostro pianeta e, sebbene abbia grossomodo la stessa composizione di Giove e Saturno, risulta un po’ più piccolo e un po’ più denso. nella sua atmosfera di gas di idrogeno ed elio è inoltre presente un quantitativo maggiore di metano, responsabile della colorazione del pianeta. Anche su Urano vi è ammoniaca che, per via della bassissima temperatura, è allo stato solido. Urano è il pianeta più freddo del Sistema Solare, il termometro scende a 216° sottozero! Nel 1977 si scoprì che il gigante di ghiaccio era circondato da un sistema di 9 anelli, tuttavia il loro spessore e la loro densità, insieme al fatto che i raggi solari laggiù sono deboli, richiedono l’utilizzo di sonde extraterrestri per essere rivelati.

fig.45
fig.46

Ma ciò che distingue veramente questo pianeta è il suo modo di ruotare su sé stesso. A parte il presentare un moto retrogrado, ossia contrario a quello degli altri corpi del Sistema Solare e dunque da est a ovest, il suo piano equatoriale è inclinato di 98° rispetto al piano dell’orbita. In pratica il suo asse di rotazione è quasi parallelo al piano orbitale, scostandosi di soli 8°. Questo significa che Urano è un pianeta che rotola attorno al Sole (Fig. 46). E’ il solo ad avere questo movimento anomalo e con molta probabilità, è dovuto a un urto subito durante la formazione del Sistema Solare con un altro corpo della nube primordiale. Questo scontro ha fatto coricare Urano, con curiose conseguenze dal punto di vista dell’alternarsi di giorno e notte, nonché delle stagioni. Come gli altri pianeti esterni anche la rotazione su sé stesso avviene in tempi brevi; il giorno uraniano dura poco più di 17 ore, ma su un emisfero, quello nord, la notte non scende mai perché un polo è sempre rivolto verso il Sole, e viceversa nell’altro emisfero. Si ha l’inversione di tendenza a metà percorso dell’orbita, cioè dopo ben 42 anni, quando l’emisfero che prima era illuminato si eclissa e quello rimasto al buio vede finalmente

fig.47

la luce; una luce che però, ricordiamolo, è solo accennata, un pallido crepuscolo. Per quanto riguarda le stagioni invece, l’inclinazione dell’asse di rotazione determina un diverso apporto della quantità di luce solare sul pianeta, per cui le stagioni esistono e sono quattro come sulla Terra. Ciascuna però dura 21 anni e il giorno su Urano permane per tutta la primavera e tutta l’estate, mentre la notte è lunga un autunno e un inverno (Fig. 47).

Un’altra curiosità dovuta all’inclinazione assiale riguarda la temperatura che, sebbene sempre gelida, è più calda al polo che all’equatore! 27 lune gravitano attorno ad Urano e sono le uniche i cui nomi non seguono la tradizione mitologica greca. I satelliti di Urano furono battezzati con i nomi dei personaggi delle opere di Shakespeare, forse in memoria dei versi che il poeta scrisse in “Sogno di una notte di mezza estate”, quando rivolgendosi alla Luna, le dedicò queste parole: “Ti ringrazio per i tuoi raggi di sole, io ti ringrazio, Luna, per splendere adesso così brillante ".

Oberon e Titania sono i due satelliti più grandi di Urano e i primi ad essere scoperti. Fu sempre William Herschel che 6 anni dopo la scoperta di Urano, avvistò le due lune. Fu la volta poi di Ariel e Umbriel ad opera di un astronomo inglese amatoriale, William Lassel, che più tardi scoprì anche il satellite Nereide di Nettuno. Nel 1948 ecco la luce della quinta luna di Urano, Miranda (Fig. 48), mentre per le successive 10 bisognò attendere la fine degli anni ’80 quando la sonda Voyager 2 si spinse fino all’orbita di Urano. I 10 satelliti rimanenti furono invece svelati dal telescopio spaziale Hubble.

fig.48
fig.49

NETTUNO

Dopo la scoperta di Urano del 1781, il pianeta – com’è lecito aspettarsi – divenne oggetto di studio e nel giro di 60 anni fu chiaro che la sua orbita presentava delle irregolarità. Fondamentalmente i calcoli sulla posizione in cui Urano avrebbe dovuto trovarsi in un determinato momento, presentavano dei piccolissimi ma non trascurabili errori: talvolta Urano si trovava in ritardo di 20 secondi, talvolta invece in anticipo. Furono necessari diversi decenni per rendersi conto di questa divergenza dalla teoria, perché bisogna ricordare che Urano viaggia a una velocità 4 volte inferiore a quella della Terra e su un’orbita 19 volte più estesa, dunque gli occorre diverso tempo per percorrere minimi spazi.

L’origine di questi “appuntamenti mancati” era necessariamente da ricercarsi in un corpo celeste che perturbava il moto di Urano e questo corpo celeste non poteva che essere un pianeta. Fu così che l’uomo scoprì il primo pianeta senza averlo visto. La predizione, con tanto di coordinate, fu merito di due astronomi che in modo indipendente pervennero alla stessa conclusione: l’inglese John Couch Adams e il francese Urbain Le Verrier. La prima osservazione del pianeta che confermava la previsione avvenne cinque anni dopo, nel 1846, ad opera dell’astronomo tedesco Johann Galle. L’Unione Astronomica Internazionale poté a quel punto battezzare ufficialmente l’ottavo pianeta del Sistema Solare: Nettuno. Il pianeta ricevette il nome del dio romano del mare per via del suo intenso colore azzurro (Fig. 49).

Il motivo per cui il moto di Urano risulta perturbato sta nel fatto che il campo gravitazionale di Nettuno arriva fino a quella distanza così che, quando Urano si trova in un punto dell’orbita avanzato rispetto a quello in cui si trova Nettuno, risente di quella gravità e viene come richiamato indietro, ritardando così il suo percorso. Al contrario quando si trova al seguito di Nettuno, Urano subisce un’attrazione in avanti e viene accelerato fino a superarlo.

Nettuno è l’ultimo pianeta del Sistema Solare e si trova a una distanza di 30,7 UA, cioè quasi 31 volte la distanza che separa la Terra dal Sole. I raggi di quest’ultimo impiegano più di 4 ore per giungere sul pianeta e sono raggi ormai debolissimi. Là infatti la luce del Sole arriva 900 volte meno intensa che sulla Terra, per cui Nettuno è un pianeta freddissimo, con una temperatura che scende a 214° sottozero. Dalla sua superficie, il Sole apparirebbe come Venere quando si trova alla minima distanza dalla Terra, dunque sembrerebbe una grossa stella, mentre i pianeti visibili sarebbero soltanto Giove e Saturno, nessuna traccia a occhio nudo di Marte, Terra, Venere e Mercurio. Ma anche il suo vicino Urano risulterebbe difficile da vedere senza l’aiuto di un cannocchiale, dato che da Nettuno avrebbe uno splendore di circa 4,5 magnitudini apparenti.

L’anno su Nettuno ne dura 165 dei nostri; il 2011 è stato il suo primo compleanno da quando fu scoperto nel 1846.

Le altre caratteristiche del pianeta si sono dimostrate simili a quelle dei pianeti giganti, in accordo con la teoria sulla formazione del Sistema Solare. Nettuno è un pianeta 18.200 volte più grande della Terra (Fig. 50) con un diametro di quasi 50.000 chilometri. La sua massa, 4 volte superiore a quella del nostro pianeta, genera un campo gravitazionale da cui è possibile sfuggire solo viaggiando a 85.000 km/h, più del doppio della velocità che serve per svincolarsi dalla gravità terrestre. La sua atmosfera contiene in prevalenza idrogeno, elio e metano, tutti allo stato gassoso come i tre pianeti precedenti. Ne consegue che non ruota su sé stesso come un corpo rigido, ma la velocità diminuisce dall’equatore ai poli. Questi ultimi presentano uno schiacciamento per via dell’alta velocità di rotazione che fa sì che un giorno nettuniano duri circa 16 ore.

fig.50
fig.51

Come Giove, Saturno e Urano, anche Nettuno possiede degli anelli che si estendono per 21.000 chilometri a partire da una distanza di 41.900 chilometri dal pianeta (Fig. 51). All’osservazione non hanno nulla a che vedere con quelli di Saturno, sono molto sottili e a tratti sono interrotti in quanto la distribuzione dei frammenti non sempre è continua.

Nettuno possiede 13 satelliti, il primo dei quali fu avvistato da un astronomo amatoriale inglese 17 giorni dopo la scoperta di Galle. In sintonia col nome dato al pianeta, la sua prima luna venne chiamata Tritone (Fig. 52).

Più di un secolo dopo, nel 1949, fu scoperto il secondo satellite di Nettuno che, sempre per mantenere un legame con quella tradizione mitologica, fu battezzato Nereide (Fig. 53).

Da allora altri 11 satelliti sono stati visti gravitare attorno a Nettuno, ma Tritone è il più grande con un diametro di 2.700 chilometri e orbita in senso opposto a quello del pianeta e delle altre lune. Inoltre, a una distanza di circa 355.000 chilometri da Nettuno, gli è più vicino di quanto non lo sia la Luna alla Terra.

Ilaria Sganzerla

fig.52
fig.53

Immagini:


  • Figura 1: http://space.about.com/od/astronomyhistory/ss/timeline_univer_8.htm
  • Figura 2: www.nasa.gov/images/content/149890main_BetaPictDiskbMac.jpg
  • Figura 3: http://digilander.libero.it/silviastar/sistema_solare.htm
  • Figura 4: http://planets.ucla.edu/research/small-bodies/
  • Figure 5, 7, 8, 12, 19, 26, 27, 29, 34, 35, 36, 37, 38, 40, 44, 45, 48, 49, 50, 51, 52, 53: http://solarsystem.nasa.gov/planets
  • Figura 6: http://it.wikipedia.org/wiki/Elongazione
  • Figura 9: www.oneminuteastronomer.com/5326/phases-venus/
  • Figura 10: www.eso.org/public/outreach/eduoff/vt-2004/Education/edu1app2.html
  • Figura 11: www.arksky.org/ref_guides/venus.html
  • Figura 13: http://en.wikipedia.org/wiki/Venus
  • Figura 14: http://sos.noaa.gov/Datasets/dataset.php?id=224
  • Figura 15: www.psn.gov.my/program/marsweek/gallery.htm
  • Figura 16: www.britannica.com/EBchecked/media/70791/The-seasons-of-Mars-a-result-of-the-planets-inclination
  • Figura 17: http://nssdc.gsfc.nasa.gov/photo_gallery/photogallery-mars.html
  • Figura 18: http://en.wikipedia.org/wiki/File:Mars_Valles_Marineris.jpeg
  • Figura 20: http://history.nasa.gov/SP-4212/p6.html
  • Figura 21: http://apod.nasa.gov/apod/ap100317.html
  • Figura 22: http://apod.nasa.gov/apod/ap090316.html
  • Figura 23: www.uwgb.edu/dutchs/AstronNotes/HowSolSysWorks.HTM
  • Figura 24: http://solarsystem.nasa.gov//multimedia/display.cfm?IM_ID=9523
  • Figura 25: www.nasa.gov/mission_pages/dawn/ceresvesta/index.html
  • Figura 28: http://nssdc.gsfc.nasa.gov/photo_gallery/photogallery-asteroids.html
  • Figura 30: http://it.wikipedia.org/wiki/File:Giove_-_Fasce_atmosferiche_principali.PNG
  • Figura 31: http://nssdc.gsfc.nasa.gov/imgcat/html/object_page/vg1_p20945.html
  • Figura 32: http://solarsystem.nasa.gov//multimedia/display.cfm?Category=Planets&IM_ID=12584
  • Figura 33: http://solarsystem.nasa.gov//multimedia/display.cfm?Category=Planets&IM_ID=2098
  • Figura 39: http://saturn.jpl.nasa.gov/photos/imagedetails/index.cfm?imageId=476
  • Figura 41: http://mydarksky.org/2008/03/26/saturns-rings-are-disappearing/
  • Figura 42: http://sos.noaa.gov/Datasets/dataset.php?id=257
  • Figura 43: immagine ottenuta tramite il software Stellarium 0.10.6.1
  • Figura 46: www.lcsd.gov.hk/CE/Museum/Space/EducationResource/Universe/framed_e/lecture/ch09/ch09.html
  • Figura 47: www.astrobio.nau.edu/~koerner/ast180/lectures/lec17.html


Fonti:


  • AA.VV. I segreti dell'astronomia Vol. 1, Ed. Ferni, 1976
  • Ian Ridpath, The Pocket Guide To Astronomy, 1990
  • Mario Cavedon, Astronomia, Ed. Mondadori, 1992
  • Motz Lloyd, L’Universo, Ed. Newton Compton, 1981


Internet:


  • http://nssdc.gsfc.nasa.gov/planetary/planetfact.html
  • http://portalegalileo.museogalileo.it/igjr.asp?c=300151
  • http://solarsystem.nasa.gov/planets/index.cfm
  • http://www.bo.astro.it/universo/venere/Sole-Pianeti/planets/sisbod.htm
  • Wikipedia – http://it.wikipedia.org/wiki/Definizione_di_pianeta
  • Wikipedia – http://it.wikipedia.org/wiki/Giove_(astronomia)
  • Wikipedia – http://it.wikipedia.org/wiki/Marte_(astronomia)
  • Wikipedia – http://it.wikipedia.org/wiki/Mercurio_(astronomia)
  • Wikipedia – http://it.wikipedia.org/wiki/Saturno_(astronomia)
  • Wikipedia – http://it.wikipedia.org/wiki/Urano_(astronomia)
  • Wikipedia – http://it.wikipedia.org/wiki/Venere_(astronomia)

 

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