La Via Lattea nel mito e nell'arte

di Ilaria Sganzerla

 

Se fossimo vissuti in Macedonia nel III secolo a.C. e avessimo avuto il privilegio di fare una passeggiata sotto le stelle in compagnia del poeta greco Arato, lo avremmo ascoltato pieni d’incanto descriverci la scia luminosa della Via Lattea, i sensi rapiti dalle meraviglie della volta celeste sopra di noi.

Se mai in una notte serena, quando tutte le sue stelle splendide mostra agli uomini la Notte celeste, e non ve n’è una che sia languida a causa della luna piena, ma brillan tutte di vivida luce attraverso le tenebre – se mai ti scese allora in cuor la meraviglia all’osservare il ciel completamente diviso in due da un ampio cerchio, oppure se qualcun altro stando a te vicino ti segnalò quel cerchio pieno d’occhi, devi saper che lo chiaman Galassia. Non c’è proprio, che giri, un cerchio simile a questo nell’aspetto luminoso; ma, quanto a dimensioni, di quei quattro due sono così grandi, mentre due si ruotano più piccoli di loro. (Arato, I Fenomeni e i Pronostici, 713-730)

La Galassia con le sue migliaia di stelle sembra un cerchio pieno d’occhi e si differenzia dagli altri quattro perché è l’unico visibile. I quattro cerchi cui allude Arato sono quelli astratti dell’equatore celeste, dell’eclittica e dei due tropici.

L’equatore celeste non è altro che la proiezione dell’equatore terrestre sulla volta stellata, mentre l’eclittica è l’orbita percorsa apparentemente dal Sole in un anno; l’eclittica è inclinata di 23,5° rispetto all’equatore e le fanno da sfondo le costellazioni dello Zodiaco.

L’equatore celeste e l’eclittica sono detti cerchi maggiori in quanto i loro diametri sulla sfera celeste sono quelli massimi. I due cerchi minori sono invece i paralleli corrispondenti ai due tropici che, a loro volta sono i punti dell’eclittica in cui il Sole raggiunge l’altezza massima e minima. Nell’emisfero boreale il culmine si ha nel giorno del solstizio d’estate che, nell’antichità, si trovava nella costellazione del Cancro. Viceversa, il punto più basso dell’orbita solare coincide con il solstizio d’inverno che, sempre nei tempi antichi, cadeva nella costellazione del Capricorno. Da qui i nomi di Tropico del Cancro e del Capricorno. Oggi, per via della precessione degli equinozi, è la costellazione dei Gemelli che segna il solstizio d’estate, mentre quella del Sagittario inaugura la stagione invernale.

Un altro poeta, stavolta latino e di cui nulla si sa della sua vita se non che visse a cavallo fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., dedicò un’ampia sezione alla Via Lattea nel suo poema Astronomica, opera molto conosciuta fino al IV secolo d.C., poi adombrata e riscoperta solo nel Quattrocento, ben undici secoli dopo. Il poeta si chiamava Marco Manilio e nel suo primo libro descriveva costellazioni e circoli celesti incontrati dalla Via Lattea.

L’altro circolo, messo di traverso al primo, si accosta alle Orse e un poco arretra il proprio tracciato dal giro boreale e passa attraverso la costellazione della capovolta di Cassiopea. quindi discendendo in senso obliquo va a toccare il Cigno e interseca il tropico estivo e l’Aquila arrovesciata e la linea che pareggia le ore e il piano che sopporta i cavalli del Sole, tra la coda per dove arde lo Scorpione e gli orli della sinistra e della freccia del Sagittario, quindi insinua la sua curva attraverso le zampe e gli zoccoli dell’altro Centauro e di nuovo prende ad ascendere la volta celeste e il naviglio argivo lungo il coronamento di poppa e il giro mediano del cielo e taglia i Gemelli attraverso la parte bassa del segno, passa sotto l’Auriga e a te, donde partiva, o Cassiopea, volgendosi passa al di sopra esatto di Perseo, e l’orbita da quella cominciata conclude; e i tre circoli interseca a metà e a due punti quello che reca i segni, e altrettante volte ne è esso stesso inciso. Splende infatti il lattiginoso fulgore del suo cerchio nel firmamento ceruleo quasi stesse lì lì per inviare il giorno dal cielo dischiuso, e come spicca un sentiero tra il verde dei campi che le ruote logorano con l’assiduo attrito d’un ripetuto passaggio. [pari gli è quella via tra lo spazio spartito] Come s’imbianca il tratto di mare dove traccia il suo solco uno scafo, e danno luogo i flutti a un passaggio nella schiuma delle onde che rivelano riccioli di creste tra gli arati gorghi, così risplende la candida frontiera nel cielo cupo fendendone la volta cerulea con un ammasso di luce. (Manilio, Astronomica, I, 684-712)

fig.1

Manilio descrive la Via Lattea come un “circolo messo di traverso al primo”, dove per primo bisogna intendere l’equatore. Il circolo latteo è infatti inclinato di 62° rispetto all’equatore celeste e per questo motivo dice che è messo di traverso a quest’ultimo. Ma posizionarlo trasversalmente a esso, porterebbe erroneamente a supporne un’inclinazione di 90°, così il poeta per ovviare al fraintendimento, precisa al verso successivo che il circolo latteo “un poco arretra il proprio tracciato dal giro boreale”, dove il giro boreale è il parallelo corrispondente alla calotta polare settentrionale, là dove risiedono le costellazioni circumpolari, quelle che non tramontano mai (Fig. 1). E infatti il polo nord galattico cade, oggi come allora, nella costellazione della Chioma di Berenice che si trova una quindicina di gradi più sotto.

Dopo avere incontrato Cassiopea, il Cigno, il Cancro – qui nominato come il tropico estivo – e l’Aquila, la Via Lattea interseca “la linea che pareggia le ore”, ossia l’equatore, luogo in cui come dice lo stesso nome, la durata del giorno e della notte è uguale e dunque il numero delle ore diurne viene pareggiato a quello delle ore notturne, e viceversa. La galassia interseca poi “il piano che sopporta i cavalli del Sole”, ovvero l’eclittica per addentrarsi infine nell’altro emisfero e risalire fino a ricongiungersi a Cassiopea.

Ma da cosa ebbe origine il soffuso cerchio di stelle che in silenzio abbraccia la notte? Come per le costellazioni, anche per la Via Lattea i Greci e tutti i popoli antichi trovarono una giustificazione nel mito. Diversi erano quelli associati al circolo latteo. Per esempio, si riteneva che fosse il fumo che si levava dall’Altare, costellazione che duemila anni fa non era capovolta come oggi ed era ancora visibile alle nostre latitudini. Oppure si diceva che fosse la ferita inferta da Fetonte, il figlio del Sole che insistette per condurre il carro col disco infuocato nel suo percorso giornaliero e provocò un disastro. Fetonte infatti

non fu in grado di domare i quattro cavalli rabbiosi che trainavano il cocchio; essi si imbizzarrirono e così il giovane non riuscì a mantenersi sulla corretta traiettoria, l’eclittica. Prima che Zeus intervenisse uccidendolo con la folgore, si avvicinò troppo alla terra e ne carbonizzò gran parte, poi si spinse troppo alto nel cielo bruciandone la superficie che, nella scia luminosa della Via Lattea, reca il doloroso segno del suo passaggio. Ma il mito che ricorre più frequentemente è senz’altro quello dell’allattamento di Eracle da parte della sua rivale Era. Era, la consorte ufficiale di Zeus, aveva da poco subito l’ennesimo tradimento. Il signore degli dèi si era unito alla regina di Tirinto, Alcmena, moglie del re Anfitrione. Egli voleva generare un figlio che con la sua forza proteggesse gli uomini e difendesse gli dèi, ma per fare questo ingannò la fedele Alcmena assumendo le sembianze di Anfitrione, il quale era in guerra, lontano da casa. Quando il re tornò a Tebe, dove si era trasferito con la moglie, la verità venne presto alla luce e Alcmena, non sopportando l’imbroglio, decise di abbandonare il piccolo non appena fosse nato.

Alcmena partorì, e temendo la gelosia di Era espose il neonato nel luogo che ora da lui si chiama “campo di Eracle”. Proprio a quel tempo Atena gli si avvicinò in compagnia di Era, e presa da ammirazione per la figura del bambino, persuase Era a porgergli il seno. Il fanciullo tirò la mammella con troppa violenza per la sua età, ed Era colpita dal dolore scagliò via il neonato; ma Atena lo portò da sua madre, e le ordinò di allevarlo. Ci si potrebbe giustamente meravigliare dell’aspetto paradossale dello strano fatto: la madre che doveva amarlo teneramente stava per rovinare il proprio figlio, mentre colei che nutriva contro di lui un odio da matrigna salvò il suo naturale nemico. (Diodoro Siculo, Biblioteca storica, IX, 9)

Proprio così: Era, che in tutta la sofferta vita di Eracle, giocò il ruolo di sua antagonista, senza saperlo in principio, ne fu la nutrice. D’altra parte il mito di Eracle, specialmente nella trama iniziale, è profondamente basato sull’inganno: Zeus tradisce Era, ma inganna anche Alcmena. Atena, su suggerimento di Zeus suo padre, induce con l’astuzia Era ad allattare il figlio frutto dell’adulterio.

Dal canto suo Era, per vendicarsi del tradimento, ritarda il parto di Alcmena e accelera quello di Nicippe, sposa di Stenelo, uno dei figli di Perseo, perché sapeva che così facendo Zeus si sarebbe incastrato da sé. Il re dell’Olimpo aveva infatti decretato che il trono di Micene, patria di Alcmena, e quello di Tirinto, governato da Anfitrione, sarebbero appartenuti al primo nato della stirpe di suo figlio Perseo che, secondo i suoi piani, avrebbe dovuto essere Eracle. Ma poiché nacque prima il figlio di Stenelo e Nicippe, Eracle dovette mettersi al servizio del nuovo re, il cui nome era Euristeo. Fu lui, guidato da Era, a commissionare le dodici imprese.

Ma tutto questo travaglio trova la sua ragion d’essere nella consuetudine della mitologia di nascondere dietro al nome il destino di chi lo porta ed Eracle significa proprio “gloria di Era”, da Hera, il nome proprio della divinità e kléos, gloria. Eracle divenne la gloria di Era perché portò a compimento le famose dodici fatiche e le altre imprese cui dovette sottoporsi per volontà della dea, ma anche perché attingendo al seno della sposa di Zeus, ebbe accesso all’immortalità.

Eratostene, scienziato greco del III secolo a.C., affidò a Hermes, il messaggero degli dèi, il compito di accostare il piccolo Eracle al seno di Era, caratterizzando così la figura divina come la Grande Madre.

Fra i cerchi visibili si trova questo che ha il nome di Galassia. Non era possibile infatti ai figli di Zeus avere parte agli onori del cielo, se non avevano succhiato il seno di Era. Per questo si racconta che Hermes trasportò Ercole sull’Olimpo, dopo la sua nascita, e lo attaccò al seno di Era e quello succhiò. Quando se ne accorse, la dea lo respinse e il latte in più, versato in questo modo, costituì il Cerchio latteo. (Eratostene, Epitome dei Catasterismi, 44)

Una rappresentazione antica del momento in cui Eracle succhia dal seno di Era, si trova su una lekythos apula a figure rosse del primo ellenismo (Fig. 2). Nell’Antica Grecia, questo tipo di vaso veniva usato per contenere olio profumato o unguenti. La scena mostra Eracle bambino attaccato alla mammella di Era, la quale è stata convinta ad allattarlo non da Atena ma da Afrodite, presente di fronte a lei nell’atto di porgerle un fiore. Al posto del messaggero degli dèi Hermes, il pittore ha inserito alle spalle della consorte di Zeus, il suo corrispondente femminile, Iris che nella tradizione era l’ancella personale di Hera.

La lekythos è attribuita al cosiddetto Pittore del Lattante ed è conservata al British Museum di Londra.

L’allattamento di Eracle divenne il tema di un’opera d’arte divenuta famosa, non solo per il grande pittore che vi sta dietro, ma anche in quanto è probabilmente la prima che tratta esplicitamente dell’origine della Via Lattea. Il dipinto si chiama proprio “L’origine della Via Lattea”, anche se il titolo è stato dato solo nel secolo scorso, e si deve all’italiano Jacopo Tintoretto, ultimo esponente del Rinascimento italiano che lo compose attorno al 1575 (Fig. 3).

L’artista ha rappresentato su un’ampia tela la versione secondo cui Hermes preme il piccolo Eracle contro il seno di Hera cogliendola nel sonno. Il quadro è saturo di colori brillanti e caratterizzato da un forte dinamismo, oltre che da una cura dei particolari di straordinario realismo. Il blu acceso della volta celeste si mescola con quello vivido del copriletto e con quello appena più cupo della stola di Hermes, mentre le due tonalità di rosso della tunica del messaggero e del tessuto ai piedi del talamo da cui Hera si sta levando, creano il contrasto cromatico di maggior impatto visivo.

fig.2
fig.3

Il bianco delle lenzuola e del cuscino unito poi al candore della pelle della dea, dà luminosità al quadro armonizzandosi con le nubi presenti sullo sfondo e nella parte superiore della tela.

Vale davvero la pena soffermarsi anche a osservare la perfezione dei dettagli, come la testiera del letto su cui sono fissate piccole perle, che ritroviamo nell’acconciatura di Hera, nelle delicate frange del lenzuolo e sul bordo del manto vermiglio su cui ella siede, inducendo così ad ammirarne la raffinata trama. E ancora le sottilissime righe, perfettamente tese del latte schizzato e quelle più morbide della rete impugnata da uno dei cupidi non fa che confermare la grande maestria del pittore.

Il panneggio delle stoffe inoltre dà, per così dire, voce al quadro, nel senso che pare di sentire il fruscio del vento e di essere sospesi nelle sommità del cielo. Ad accentuare il movimento creato dalle vesti, contribuiscono infine i numerosi personaggi, tutti in azione, che popolano la scena. Quattro amorini si librano attorno a Hera insieme a Hermes che scende diagonalmente dall’angolo destro del quadro e così facendo, si oppone alla diagonale avviata dalla postura inclinata della dea, diagonale che viene proseguita dal lenzuolo e dalla veste rossa e poi conclusa dal cupido nell’angolo in basso a destra. Le figure sono quindi disposte in una sorta di X, centrata però verso la porzione superiore dell’opera, dove un Eracle bambino succhia avidamente la mammella di Hera da cui schizza il latte e si tramuta in stelle. Si osservi in realtà che esce latte anche dall’altro seno e che, mentre quello bevuto dal piccolo sale verso l’alto a formare la Via Lattea, questo cade in basso, verso la terra e non porta con sé alcuna scia di stelle.

La ragione è da ricercarsi sempre nel mito secondo cui le gocce di latte che in seguito all’allontanamento di Eracle caddero sul terreno, si trasformarono nei bianchi gigli, i quali vennero così per la prima volta la luce. Il pittore ha voluto isolare questa parte del mito servendosi dell’altro seno di Hera ottenendo in questo modo una composizione equilibrata e simmetrica. Il quadro del Tintoretto in effetti possedeva in origine una fascia inferiore che rappresentava proprio una distesa di foglie boschive punteggiata da gigli, ma la tela fu poi tagliata e il paesaggio corretto con le nubi. Si possono vedere tracce dello scorcio originale nell’angolo inferiore destro dove sono presenti ancora alcune foglie. Forse si tratta di un pentimento dell’artista che decise solo successivamente di limitare la scena alla sfera celeste e questo è anche il motivo per cui il quadro ha le insolite dimensioni di 148 x 165 cm che lo avvicinano più a una forma quadrata che rettangolare. Tra i personaggi si distinguono anche due pavoni e un’aquila, che sono gli animali sacri rispettivamente a Hera e a Zeus. Il bel dipinto è conservato alla National Gallery di Londra.

Circa sessant’anni dopo, nel 1637 in pieno stile barocco, anche l’artista Peter Paul Rubens dedicò alla nascita della Via Lattea una grande tela (Fig. 4). Con i suoi 181 cm di altezza e 244 di lunghezza, il quadro è veramente notevole in quanto a dimensioni. Fu il re di Spagna Filippo IV a commissionare al pittore fiammingo più di sessanta opere a carattere mitologico da destinare alla sua residenza di caccia, Torre de la Parada, situata nella periferia di Madrid.

Rubens scelse fra i vari miti anche quello dell’origine della Via Lattea, mantenendo la tradizione della versione secondo cui il piccolo Eracle viene accostato al seno di Era mentre ella dorme.

Anche in questo caso il personaggio che porta il bambino alla dea cambia. Non è né Hermes, né Atena e nemmeno Afrodite, ma Zeus stesso che vuole così dare l’immortalità a quel suo figlio avuto da una donna mortale.

In accordo coi canoni dello stile barocco, il dipinto deve prendere i sensi, colpire nell’intimo lo spettatore che non deve rimanere indifferente all’opera che ha davanti. Per fare questo la corrente artistica si avvale di figure enfatizzate con forme pompose, ridondanti e solenni, spesso immerse in uno scenario dominato da forti chiaroscuri, proprio come avviene nel capolavoro di Rubens.

fig.4

Sullo sfondo di una notte scura, solo punteggiata dalle stelle, si staglia la sagoma candida di Hera, nuda, abbondante nell’aspetto e nel cui viso Rubens ha voluto ritrarre la moglie Hélène Fourment. Attraverso un ampio telo rosso perfettamente panneggiato che si è come impigliato nelle gambe della dea, il pittore porta in scena il vento, altrimenti invisibile. L’effetto sullo spettatore deve essere forte e così abbiamo la sensazione che il vento sia piuttosto impetuoso perché pare come strappare Eracle dal seno della nutrice e portarselo via. Il bimbo, anch’egli di forme generose e massicce, tende la piccola mano alla mammella che a sua volta Era sorregge, mentre zampilli di latte guizzano dal capezzolo trasformandosi in una scia di stelle.

Alle spalle di Era, contribuisce a dare luminosità alla scena il suo sfarzoso cocchio dorato, che due pavoni dall’aria solenne trainano su una fila di nubi minacciose. Un altro elemento aureo, rappresentato dal disco di luce sulla chioma velata della donna, illumina il dipinto caratterizzando il soggetto nella sua divinità.

E divino è anche l’altro personaggio sul cui capo splende una corona. E’ Zeus che, dopo aver portato il figlioletto alla consorte perché divenisse immortale, ne osserva seduto il risveglio insieme alla sua aquila maestosa, che fra gli artigli stringe un fascio di fulmini.

Il dipinto di forte suggestione si trova al Museo del Prado di Madrid.

Ilaria Sganzerla


Immagini:

  • Figura 1: www.apaweb.it/ElementiAstronomia/news.htm
  • Figura 2: www.theoi.com/Gallery/K4.11.html
  • Figura 3: http://it.wikipedia.org/wiki/File:Jacopo_Tintoretto_011.jpg
  • Figura 4: http://oaks.nvg.org/r/rub53.jpg

Fonti:

  • Alfredo Cattabiani, Planetario, Ed. Mondadori, 2010
  • Arato di Soli, I fenomeni e i pronostici, Ed. Arktos, 1984
  • Manilio, Il Poema degli Astri, Volume I, Libri I-II, Ed. Fondazione Lorenzo Valla / Arnoldo Mondadori, 2001

Internet:

  • http://it.wikipedia.org/wiki/Origine_della_Via_Lattea_(Tintoretto)
  • www.museodelprado.es/en/the-collection/online-gallery/on-line-gallery/obra/the-birth-of-the-milky-way/
  • www.nationalgallery.org.uk/paintings/jacopo-tintoretto-the-origin-of-the-milky-way
  • www.storiadellarte.com/periodi/barocco/barocco.htm

 

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