Il Cielo di Maggio
 

Un paio di costellazioni visibili in Maggio

a est : Ercole - latino Hercules abbreviazione Her

Partendo dall’Orsa Maggiore e procedendo verso est, si incontra la costellazione di Ercole (Fig. 1). L’antico eroe greco è immaginato in ginocchio sulla gamba destra, mentre col piede sinistro tenta di schiacciare la testa del vicino Drago (Fig. 2). Come si vedrà parlando della mitologia, la costellazione originariamente si chiamava proprio “Inginocchiato” e solo più tardi ha preso il nome di “Ercole”.
Le sue prime stelle iniziano a sorgere verso fine dicembre per divenire tutte visibili da marzo a settembre, con culmine a nord nel periodo maggio-luglio. A metà novembre si ha invece il tramonto delle sue ultime stelle.

La figura stilizzata dai puntini luminosi è racchiusa in un’area di 1225 gradi quadrati, il che la rende la 5a costellazione più grande delle 88 presenti sulla volta celeste.

A circondarla ci sono ben 9 costellazioni (Fig. 3); partendo in senso orario troviamo: il Drago a nord, Bootes a ovest, l’Aquila e la Freccia a est, l’Ofiuco a Sud, la Corona Boreale e il Serpente a sud-ovest e per finire la Lira e la Volpetta chiudono il cerchio a nord-est.

Ercole è una costellazione dalla forma piuttosto complessa e i punti luminosi che formano la figura sono 19, il più splendente dei quali è Beta Herculis con 2,77 magnitudini apparenti, mentre quello più debole è Alpha 2 Herculis con sole 5,39 magnitudini, circa 11 volte più spenta della Beta.
Mediamente dunque Ercole è una costellazione quasi di quarta magnitudine, non è perciò una costellazione che risalta particolarmente.

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Se dal punto di vista delle sue stelle singole è piuttosto anonima, non lo è invece per quel che riguarda uno dei due oggetti del catalogo Messier che ospita.
In Ercole infatti risiedono gli ammassi globulari M13 (Fig. 12) e M92 (Fig. 13), il primo dei quali è il più luminoso del cielo boreale, con una magnitudine apparente di 5,9. E’ praticamente al limite della percezione dell’occhio umano e questo significa che, in una notte particolarmente buia e tersa e con una vista ancora perfettamente intatta, è possibile vederlo a occhio nudo. Apparirebbe come un leggerissimo batuffolo di luce. Se però i nostri occhi non sono in ottima forma, la sua luminosità è tale da permetterne l’osservazione già con piccoli telescopi e cannocchiali.
Anche M92 è molto luminoso rispetto alla maggior parte degli ammassi globulari della nostra Galassia, ma la sua vicinanza a M13 lo penalizza in quanto a popolarità. E’ di magnitudine apparente pari a 6,5 il che significa che splende la metà di M13. Rimane tuttavia un’importante ammasso globulare che dà soddisfazione anche con piccoli strumenti.

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a sud-est : Ofiuco - latino Ophiucus abbreviazione Oph

Ll’Ofiuco (Fig. 4 )è una costellazione curiosa, poiché nonostante rientri nella fascia zodiacale, non è stata annoverata fra le costellazioni dello zodiaco. Ricordiamo che lo zodiaco è l’insieme delle 12 costellazioni che si trovano a cavallo della proiezione dell’eclittica sulla volta celeste(Fig. 5 ), dove l’eclittica è l’orbita percorsa dalla Terra attorno al Sole.

La fascia zodiacale è “alta” 18°, equipartiti in 9° sopra l’eclittica e 9° sotto, e durante il nostro giro intorno al Sole, ogni mese passiamo davanti ad una costellazione dello zodiaco.Osservando la posizione dell’Ofiuco sulla volta celeste, si vede che rientra in questa particolare zona di cielo.

Le stelle che delineano la sua sagoma sono 9, di cui la più luminosa, Alpha Ophiuchi, ha una magnitudine apparente di 2,08 mentre la più debole, Lambda Ophiuchi, ce l’ha di 3,82. Per avere un’idea dell’entità dello splendore delle sue stelle principali, possiamo confrontare la loro luminosità con Sirio, la stella più luminosa della volta celeste, di cui sicuramente i nostri occhi conservano memoria.

Ecco allora che cercando Alpha Ophiuchi, visivamente dobbiamo aspettarci una stella 25 volte meno luminosa di Sirio

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mentre se cercate Lambda Ophiuchi la sua luminosità scende di ben 122 volte. Complessivamente dunque l’Ofiuco non è una costellazione che si distingua per brillantezza ed un occhio non allenato fatica ad individuarla. Oltretutto, è una delle costellazioni più ampie: 948 gradi quadrati, che la collocano all’11° posto per estensione fra le 88 costellazioni della volta celeste.

La vasta porzione di cielo che i nostri occhi devono percorrere per identificarla, complica così ulteriormente la sua identificazione. Praticamente impossibile vederla da un cielo di città. Le costellazioni a cui è vicina sono: Ercole a nord, lo Scorpione a Sud, la Testa del Serpente a ovest, la Coda del Serpente a est, lo Scudo a sud-est e la Bilancia a sud-ovest.

Nonostante il relativo anonimato in cui si trova, l’Ofiuco contiene oggetti interessanti: è in questa costellazione infatti che si trova la stella più veloce della volta celeste, mentre al telescopio potete osservare ben 7 oggetti di Messier, tutti ammassi globulari (Fig. 6 ) di magnitudine apparente compresa fra 6,5 e 7,9. In ordine di luminosità decrescente sono: M62 (Fig. 7 ), M10 (Fig. 8 ), M12 (Fig. 9 ), M19, M14, M9, M107.

L’Ofiuco infine era noto già nei tempi antichi e la sua prima denominazione era Serpentario, cioè “colui che stringe il serpente”. La rappresentazione simbolica della costellazione presenta infatti un uomo che stringe un serpente, quest’ultimo costituente una costellazione a sé, distinta in Testa del Serpente (Serpens Caput) e Coda del Serpente (Serpens Cauda).

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Zodiaco: Bilancia - latino Libra, abbreviazione Lib

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La Bilancia (Fig. 10 ) è una delle dodici costellazioni zodiacali, ossia si trova in quella “cintura” di cielo di 18° di ampiezza che fascia l’eclittica, l’orbita percorsa dalla Terra nel suo moto annuo attorno al Sole (Fig.11).

Si estende per 538 gradi quadrati, classificandosi così 29ma per dimensione fra le 88 costellazioni della sfera celeste.

Queste le costellazioni che la circondano: a Nord la Testa del Serpente, a Sud il Centauro e il Lupo, a sud-ovest la Vergine e l’Idra, a sud-est lo Scorpione e l’Ofiuco.

Le stelle della Bilancia visibili ad occhio nudo sono 6, la più luminosa delle quali è la Beta con una magnitudine apparente di 2,61, e quella più debole è la Gamma con 3,91. Per avere un’idea di quanto splendono in cielo, possiamo confrontarle con Sirio, la stella più luminosa della volta celeste.

Ecco allora che cercando Beta Librae, dovete aspettarvi visivamente una stella 40 volte meno luminosa di Sirio, mentre se cercate Gamma Librae la sua luminosità scende di ben 133 volte.

Complessivamente dunque la Bilancia non è una costellazione particolarmente brillante e di immediata identificazione per un occhio non allenato. Non possedendo inoltre stelle che spicchino per luminosità, rintracciarla si fa ancora più complicato, specialmente in un cielo di città.

 

a nord : Corona Boreale - latino Corona Borealis abbreviazione CrB

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La Corona Boreale (Fig. 10b) è una piccola costellazione le cui stelle sorgono verso la fine di gennaio. A partire da febbraio la costellazione è visibile interamente e lo rimane fino a tutto settembre, quando inizia il suo tramonto che si conclude nel giro di un paio di settimane.

La Corona è dunque una costellazione che, grazie alla sua posizione settentrionale, è presente in cielo per gran parte dell’anno.

Il suo nome è dovuto alla disposizione semicircolare delle stelle che ricorda la forma di una corona, mentre l’aggettivo boreale è stato aggiunto per distinguerla dalla sua gemella dei cieli del sud, la Corona Australe.

Quella Boreale come abbiamo accennato, è una costellazione di moderate dimensioni. Negli spazi siderali si estende per soli 179 gradi quadrati, risultando così la 72ma costellazione delle 88 dei due emisferi.

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Riconoscerla non è difficile, non tanto perché possieda stelle particolarmente brillanti, ma perché nei paraggi ve ne sono un paio di utili per la sua localizzazione. Basta infatti volgersi verso Arturo, grande e arancione, nel Bootes e da lì proseguire in direzione est-nord-est fino a Vega nella Lira, inconfondibile per l’elevato splendore. A circa un terzo della distanza che separa Arturo da Vega, la stella più luminosa che si incontra è Alpha Coronae Borealis, detta anche la gemma poiché si trova praticamente al centro della corona evocando appunto una gemma incastonata nel simbolo reale (Fig. 10c). A omaggiare la Corona vi sono il Bootes che la cinge da nord a sud-ovest, la testa del Serpente a sud ed Ercole che l’abbraccia da sud-est a nord (Fig. 10d). Le stelle principali della costellazione sono 7, la più luminosa delle quali è Alpha con 2,23 magnitudini apparenti, mentre la più debole con le sue 4,99 magnitudini, splende con una intensità quasi dodici volte inferiore. Le altre stelle sono di 3° e 4° magnitudine, così che il contributo medio di tutte le stelle che tracciano la figura della costellazione, ammonta a 3,95 magnitudini apparenti. A parte Alpha Coronae Borealis dunque, le altre stelle passano piuttosto inosservate. Nei 179 gradi quadrati di cielo assegnati alla costellazione non si trovano oggetti di Messier. Ma la Corona Boreale, sebbene non risalti particolarmente per quel che concerne la scienza astronomica, racconta invece di una storia d’amore famosa nel repertorio mitologico dell’Antica Grecia, quella di Bacco e Arianna…

 


Stelle famose nelle costellazioni di Maggio

In Ofiuco Stella di Barnard

Solitamente, le stelle che chiamo “famose” in una costellazione, sono quelle che costituiscono alcuni dei punti che contribuiscono alla forma della costellazione e che si distinguono o per un’elevata luminosità, o per la vicinanza, o per l’età, o ancora per fenomeni fisici importanti di cui sono teatro. Non per questi motivi la stella di Barnard (Fig. 11 ) è divenuta famosa; essa non è uno dei punti luminosi che danno la forma alla costellazione e non è nemmeno visibile ad occhio nudo, avendo una magnitudine apparente di 9,54, abbondantemente oltre il limite della visibilità dell’occhio umano. Eppure è un astro che non possiamo tacere, in quanto detiene il primato di stella più veloce della volta celeste!

Come scoprì l’astronomo Edmund Halley nel lontano 1718, le stelle non sono appuntate sulla volta celeste come chiodi in un muro, bensì anch’esse come i pianeti, la Terra e la Luna, si muovono. Così per la seconda volta nella storia dell’astronomia, immaginiamo che si sia esclamato “Eppur si muove!”, con un Sir Halley nelle vesti di un nuovo Galileo del XVIII secolo. Proprio così, le stelle si muovono, ma non solo: corrono molto più velocemente degli oggetti del nostro Sistema Solare, gli unici dei quali possiamo verificare puntualmente lo spostamento; si pensi infatti che le stelle percorrono mediamente 30 km in un secondo, contro i circa 5 della Terra attorno al Sole, oppure i 164 metri al giorno della Luna attorno alla Terra. Anche Mercurio che essendo il pianeta più vicino al Sole, è il più veloce del Sistema Solare, è solo di poco più veloce della Terra con i suoi 7 km al secondo.

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Il fatto è che le distanze delle stelle sono così grandi che è impossibile notare uno spostamento significativo su scale temporali umane, e quindi 30 chilometri al secondo, nonostante siano parecchi, non sono apprezzabili. Per potere misurare il moto delle stelle, chiamato proprio in quanto intrinseco della stella, occorre effettuare osservazioni a intervalli di almeno vent’anni. E va da sé che comunque, a livello visivo, sulla volta celeste per il nostro occhio non è cambiato ancora nulla.

Un giorno tuttavia, se la razza umana durerà abbastanza a lungo, le mappe delle costellazioni saranno da ridisegnare, poiché le stelle si saranno spostate in nuove regioni di cielo, ciascuna secondo la sua velocità e la sua direzione. Determinare il moto proprio delle stelle è laborioso e richiede molta pazienza per via dei tanti anni richiesti per le misurazioni, e comunque è possibile rilevarlo solo per le stelle di cui si conosce la distanza con una buona precisione. In particolare, il moto proprio è calcolabile per stelle che non distino più di 4000 anni luce da noi.

La Stella di Barnard rientra ampiamente in questo raggio, dato che dista solo 6 anni luce da noi, aggiudicandosi così il secondo posto fra le stelle più vicine al Sole – il primo posto è di Alpha Centauri a 3,4 anni luce. Grazie alla sua vicinanza, è stato possibile determinare in modo estremamente accurato il suo moto proprio. La misurazione si deve all’astronomo americano Edward Emerson Barnard che nel 1916 trovò che nell’Ofiuco vi era una stella che viaggiava a ben 10,3 secondi d’arco all’anno, equivalenti a 142 km/s. Si trattava davvero di un record, ed il primato scoperto gli valse il nome della stella.

Analizzando lo spettro della stella inoltre, vide che appariva spostato verso le lunghezze d’onda della luce violetta (blueshift), indice che l’astro è in avvicinamento; i 142 km/s sono quindi percorsi in direzione del Sole; ciò significa che la Stella di Barnard è destinata a togliere ad Alpha Centauri il titolo di stella più vicina. Tutto questo accadrà nel 10.198, fra circa 82 secoli: c’è tempo. Resta comunque il fatto che anche allora il nostro occhio (anzi quello dei nostri posteri) da solo non potrà vederla; la minore distanza contribuirà sì a diminuire la sua magnitudine – che ricordiamo è inversamente proporzionale alla luminosità, pertanto più è bassa, più la stella è luminosa – la quale passerà dagli attuali 9,54 a 8,31 ma, dal momento che per l’occhio umano bisognerebbe scendere almeno a 6, siamo ancora molto lontani da questa possibilità. Volete sapere comunque quando la volta celeste si accenderà di una fioca Stella di Barnard? Bene, sarà nel 17.278, fra 15 millenni…

Detto questo passiamo a vedere chi è questa stella di Barnard, la stella più veloce di tutte. Ecco il numero della sua carta d’identità: M4Ve. La lettera M ci dà un’indicazione sul colore e sulla temperatura superficiale della stella, da cui si evince che si tratta di una stella rossa con una temperatura compresa in un intervallo fra 3.000°K e i 4.000°K; il numero 4 restringe ulteriormente il campo dicendoci che la sua temperatura è più vicina al limite inferiore (3.000°K) piuttosto che a quello superiore (4.000°K). Le misure danno per la stella di Barnard una temperatura superficiale di circa 3.000°K; il numero romano V infine, rappresenta una classificazione in termini di fase evolutiva della stella o, detta in altre parole, ci dice a che punto della sua vita è; la classe V è riservata alle stelle nane. E’ la stessa classe del Sole, il quale coi suoi 5 miliardi di anni, si trova a metà della vita; potremmo dire che il nostro astro è un bel signore di mezza età…

Unendo tutte queste informazioni, concludiamo così che la stella di Barnard è una stella molto fredda, rossa e nana. Le Nane Rosse sono stelle che come il Sole appartengono alla cosiddetta Sequenza Principale, cioè non sono né all’inizio, né verso la fine o alla fine della loro vita. Semplicemente rispetto al Sole, che è una Nana Bianca, sono rosse; ma considerando che il colore in Astronomia è ben più di un attributo estetico – per gli addetti ai lavori è una grandezza a tutti gli effetti come lo sono la temperatura, la luminosità, il raggio, la massa e via dicendo – altre informazioni si celano dietro questa caratteristica visiva.

La colorazione rossa è infatti dovuta ad una scarsa potenza luminosa che, nel caso delle stelle in questione, è a sua volta dovuta a dimensioni esigue sia in termini di raggio che di massa. E la Stella di Barnard è proprio così, mostrando per certi versi misure più simili a quelle dei pianeti che non a quelle delle stelle: il suo raggio è solo il 20% di quello solare, grossomodo è grande due volte Giove, mentre la massa non si comporta da meno essendo il 17% della massa del nostro Sole, circa 179 volte la massa di Giove. Caratteristiche del genere vanno a discapito della luminosità che, come c’è da aspettarsi, è bassissima: 0,0004 volte la luminosità del Sole, equivalente ad una magnitudine assoluta di 13,22.

Proprio per la loro semi-invisibilità, sono stelle che passano spesso inosservate, poco scenografiche quali si ritrovano, tuttavia vale la pena sapere che sono le più abbondanti nella Galassia! O almeno nei nostri dintorni. Non solo, ma dato che il destino di una stella è tutto racchiuso nella sua massa iniziale, il cui valore è inversamente proporzionale alla quantità di anni che potrà vivere – più grande è la massa, più breve sarà la vita – le Nane Rosse sono stelle che per la loro modesta massa godono di una vita lunghissima! Si pensi che la stella di Barnard vive da circa 10 miliardi di anni, il che significa che è quasi vecchia come l’Universo!


Oggetti famosi nelle costellazioni di Maggio

In Ercole M13 e M92

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A decine di migliaia di anni luce dalla Terra e dal disco galattico, tanti piccoli lampioni dalle mille lampadine avvolgono la Via Lattea formando una sorta di enorme bolla, che tecnicamente viene chiamata alone (Fig. 12).
Sono gli ammassi globulari, concentrazioni elevatissime di stelle in volumi di spazio perfettamente sferici con dimensioni molto ridotte se paragonate a quelle che normalmente ospitano le stelle della volta celeste.
Tanto per intenderci, se la stella più vicina a noi – dopo il Sole naturalmente – si trova a circa 4 anni luce di distanza, in un ammasso globulare si trova solo a qualche mese luce; in altre parole ci sarebbe possibile raggiungerla viaggiando solo per qualche mese nello spazio, alla velocità della luce, anziché per qualche anno.
Più ci si avvicina al centro dell’ammasso inoltre, più la densità stellare aumenta, tanto che nelle foto le singole stelle non si distinguono più, e il nucleo dell’ammasso appare come un unico cerchio di luce. In realtà le distanze fra di esse sono sempre molto grandi, ma i nostri strumenti non sono in grado di separare le singole stelle.

Gli ammassi globulari scoperti finora sono circa 200, 27 dei quali appartengono al catalogo stilato da Charles Messier nel XVIII secolo.
Al tempo la natura di questi oggetti era sconosciuta, i telescopi non erano abbastanza potenti per scorgere le centinaia di migliaia – e talvolta milioni! – di stelle raccolte in meno di 200 anni luce. Gli astronomi di allora vedevano semplicemente delle pallide nebulosità circolari, e solo più tardi il progresso tecnologico ne avrebbe svelato la composizione.
Fu proprio con l’ammasso M13 situato nella costellazione di Ercole che nel 1789, in occasione della pubblicazione del suo catalogo stellare, l’astronomo William Herschel battezzò questi oggetti col nome di “ammassi globulari”. Ne aveva finalmente distinto le miriadi di stelle e quello gli parve l’appellativo più appropriato.

L’importanza dello studio degli ammassi globulari risiede in due fondamentali scoperte astronomiche che essi hanno permesso: da un lato infatti si è appresa la posizione del Sole all’interno della Galassia, mentre dall’altro è stato possibile fissare un limite inferiore per l’età dell’Universo.

Partiamo dalla nostra ubicazione nella Via Lattea.
Fino agli anni ’20 del secolo scorso, si credeva che il Sole – e quindi il Sistema Solare con la Terra – fosse al centro della galassia. Questa convinzione non era dettata da vanità antropocentriche come per certi versi era accaduto secoli prima con la teoria geocentrica, bensì da osservazioni scientifiche: lo scienziato William Herschel, vissuto nella seconda metà del XVIII secolo e primo ad abbozzare la forma della nostra galassia, riscontrò che la Via Lattea appariva ugualmente luminosa in tutte le direzioni; ne conseguiva che il Sole doveva trovarsi equidistante da tutte le stelle, circostanza possibile solo se posto al centro di essa.

Questa convinzione si protrasse fino al secolo scorso con un altro scienziato che, disponendo di osservazioni più numerose e accurate, perfezionò la sagoma galattica tracciata da Herschel e confermò la centralità del Sole nel disco di spirale. Il suo nome era Jacobus Cornelis Kapteyn ed erano i primi anni del 1900.
In realtà, i due studiosi non sapevano che le regioni centrali della Via Lattea, dove la maggior parte delle stelle si concentra e forma un disco dallo spessore di 20.000 anni luce contro i 3.000 di quello su cui giace il Sole, sono oscurate da fitte nubi di gas e polveri che si interpongono lungo la linea di vista. Parallelamente, a partire da quegli anni di fine Settecento inaugurati dalla rivelazione di Herschel circa la natura dei cerchietti luminosi, iniziò la caccia agli ammassi globulari, e la mappa della Via Lattea si andò via via arricchendo della loro presenza; in meno di un secolo e mezzo, l’astronomo americano Harlow Shapley ebbe a disposizione un numero abbastanza elevato di ammassi per trarre una rivoluzionaria conclusione.

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Egli vide che questi melograni di stelle si disponevano in due emisferi separati fra loro dalla spirale del piano galattico, con una fortissima concentrazione (91%) nella costellazione del Sagittario. L’evidente asimmetria nella distribuzione degli ammassi globulari, portò a concludere che l’alta densità lungo una direzione privilegiata era dovuta a ragioni prospettiche: non ci trovavamo insieme al nostro Sole al centro della galassia, ma molto lontani da esso, in una regione periferica.
Sempre Shapley fu in grado di determinare, seppure sovrastimandola, la distanza a cui si trovava la nostra stella dal nucleo galattico.


Grazie allo studio di particolari stelle variabili chiamate Cefeidi, presenti in parecchi ammassi globulari, gli fu possibile stabilire la distanza degli stessi e dare quindi un valore numerico al diametro dell’alone sferico che avvolge la galassia: secondo i suoi calcoli, esso misurava 300.000 anni luce e di conseguenza tale era anche la dimensione del disco di spirale. Il Sole e la Terra risultavano distare 50.000 anni luce dal centro della Via Lattea, ossia si trovavano a 2/3 del raggio che parte dal nucleo (Fig. 13).
Osservazioni successive ridimensionarono i calcoli di Shapley e oggi sappiamo che il diametro della nostra galassia è grossomodo di 100.000 anni luce e che il Sole si trova a circa 27.000 anni luce dal centro di essa; sempre dislocato quindi a 2/3 del raggio del disco di spirale.

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Infine, l’analisi delle caratteristiche fisiche delle stelle degli ammassi globulari ha consentito di porre un limite inferiore all’età dell’Universo; in altre parole significa poter dire che l’Universo ha “almeno” tot anni.
Lo studio ha infatti mostrato che queste stelle sono antichissime. La quasi totale assenza di metalli nella loro atmosfera implica una fase evolutiva molto avanzata. Tant’è che le stelle più brillanti degli ammassi globulari sono le fredde e vecchie Giganti Rosse, dopodiché seguono le ancor più fredde e attempate Nane Bianche.

L’età delle stelle è rintracciabile misurando la loro temperatura che, nel caso degli ammassi, è risultata praticamente sempre la stessa, per cui possiamo affermare che gli ammassi globulari hanno tutti la stessa età.
In particolare, quei milioni di lumicini che li compongono, hanno mediamente 12,7 miliardi di anni!
Si tratta di oggetti antichissimi, sono le prime stelle che si sono formate nella Galassia!
Questo significa allora che l’Universo ha “almeno” 12,7 miliardi di anni. E… “al massimo”? Per questa risposta dobbiamo attendere ancora…

Resta una domanda che non abbiamo ancora sollevato ma che è inevitabile chiedersi: perché quella forma perfettamente sferica e quell’altissima densità di stelle in un globulo di diametro medio dell’ordine del centinaio di anni luce? La risposta esatta per la verità non c’è ancora. L’ipotesi più probabile è che nel centro dell’ammasso ci sia un buco nero, che altro non è se non una stella originariamente molto massiccia che è collassata su se stessa fino a ridursi appunto ad un buco nero. Quest’ultimo con la sua gravità fortissima tiene legate a sé tutte le stelle che si trovano nei dintorni, obbligandole a ruotargli attorno tanto più velocemente quanto più sono vicine a esso.


Un’altra caratteristica fondamentale degli ammassi globulari è infatti che le loro stelle sono legate fra loro gravitazionalmente, formando quindi un complicatissimo sistema stellare a migliaia e migliaia di componenti.
La presenza del buco nero tuttavia non è ancora stata rilevata, pertanto al momento possiamo fare soltanto delle ipotesi nell’attesa di svelare finalmente l’origine di oggetti così unici.

Venendo ai due ammassi globulari in Ercole, M13 e M92, essi sono fedeli testimoni di quanto detto. M13 infatti dista 25.000 anni luce dalla Terra e contiene circa 300.000 stelle concentrate in una sfera di iametro di circa 145 anni luce (Fig. 14).
La sua magnitudine apparente di 5,9 la colloca al limite della sensibilità dell’occhio umano che, se dispone di una vista perfetta, arriva a vedere oggetti di magnitudine 6.
Grazie al valore della sua luminosità apparente, M13 è l’ammasso globulare più luminoso nel nostro emisfero celeste. M92 invece si trova a circa 26.000 anni luce, poco più distante di M13, ma le sue 330.000 stelle sono più addensate rispetto a M13 risiedendo in una sfera di circa 109 anni luce di diametro (Fig. 14, 15, 16) contro i 145 di M13.
Anche M92 è molto luminoso essendo di 6,5 magnitudini apparenti, ma anche nelle migliori condizioni, il nostro occhio non è in grado di vederlo e deve aiutarsi con uno strumento.

Per quanto riguarda l’età, quella di M13 è stata stimata intorno ai 14 miliardi di anni, mentre quella di M92 fra i 14 e i 12 miliardi di anni, in ogni caso un po’ più giovane di M13.
Queste età sono estremamente vicine alla presunta età dell’Universo che, dalle ultime osservazioni, si aggira proprio sui 14 miliardi di anni.

E allora, invito chi si trovasse a guardare in un telescopio puntato su un ammasso globulare, a soffermarsi e a godere di quell’immagine, perché un’antichità del genere esige la massima contemplazione che, del resto, sarà inevitabile.

Ilaria Sganzerla

 

Immagini:

  • Figure 1, 3, 4, 6, 10, 12: SW Cartes du Ciel
  • Figura 5  : Stelle e Pianeti, a cura di Umberto Bellini, Ed. Giunti, 1998
  • Figure 6, 8, 9: SEDS - seds.org/messier/g-group
  • Figura 12: http://www.acmecompany.com/stock_thumbnails/11920.hercules.gif
  • Figura 13: http://media.skyandtelescope.com/images/6187.jpg
  • Figura 14: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/74/Messier_13_Hubble_WikiSky.jpg
  • Figura 15: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/c/ce/M92HunterWilson.jpg
  • Figura 16: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/1b/M92_Hubble_WikiSky.jpg

Fonti:

  • Ian Ridpath, The Pocket Guide To Astronomy, 1990
  • Ian Ridpath, Wil Tirion, The Night Sky, Collins Gem Guide, 1985
  • La Biblioteca di Repubblica, Collana “La Scienza”, 1. L’Universo, 2005
  • Atlanti Scientifici Giunti, Astronomia, Ed. Giunti, 1993
  • Isaac Asimov, Il Libro di Fisica, Ed. Mondadori, 1999

Internet:

  • Wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/Ophiucus
  • Wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/Barnard’s_star
  • Wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/Leo_(constellation)
  • Wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/Red_dwarf
  • Wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/Hercules_(constellation)
  • Wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/Globular_Cluster_M13
  • Wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/ Globular_Cluster_M92
  • SEDS - seds.org/messier/g-group

 

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