Il Cielo di Aprile
 

Le costellazioni di Aprile

 

A nord : Lince - latino Linx abbreviazione Lyn

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Alla nostra latitudine la Lince si può quasi considerare una costellazione circumpolare, ossia una costellazione visibile tutto l’anno grazie alla sua posizione molto prossima al polo nord celeste che fa sì che non tramonti mai.
In realtà non la consideriamo circumpolare a pieno titolo per il fatto che per un paio di mesi una sua porzione scende sotto l’orizzonte, impedendoci così la visione completa. Questo capita grossomodo da Agosto a Settembre quando metà delle stelle della Lince vengono a trovarsi a declinazioni inferiori ai nostri 44° di latitudine.
Durante il resto dell’anno invece, quando possiamo cioè vederla interamente, essa si presenta come una costellazione dalla forma allungata e zigzagante (Fig. L1).

E’ piuttosto estesa e occupa 545 gradi quadrati di cielo, così che risulta la 28ma costellazione più grande delle 88 presenti sulla volta celeste. Ad attorniarla ci sono 7 costellazioni: la Giraffa a nord, l’Auriga a nord-ovest, i Gemelli e il Cancro a ovest, l’Orsa Maggiore a est, il Leone Minore a sud-est e infine il Leone a sud (Fig. L2).

La Lince non si distingue per luminosità, e il fatto che sia una costellazione battezzata in tempi relativamente recenti non è un caso. Fu infatti il tedesco Johannes Hevelius che nel XVII secolo la “creò”. L’intento era quello di dare una costellazione a quelle stelle residenti fra l’Auriga e l’Orsa Maggiore che non appartenevano né all’una né all’altra, e si trovavano per così dire orfane nello spazio siderale. La fioca luce che emettevano non permetteva loro di emergere abbastanza dal lembo notturno che le avvolgeva, e pertanto era come se non possedessero i requisiti per entrare nel ricco mondo della mitologia come accadeva alle costellazioni circostanti. La tradizione antica infatti non contemplava la Lince tra le figure celesti che animavano le notti dei secoli prima di Cristo.
Hevelius dunque volle raggruppare sottoforma di costellazione anche questa manciata di stelle sbiadite e, per il nome, si ispirò proprio alla loro scarsa luminosità, apprezzabile solo con una vista veramente acuta: quella di una lince appunto.

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Con un po’ di fantasia infine immaginò l’animale stilizzato in quelle stelle e disegnò la nuova costellazione nella sua famosa Uranographia (Fig. L3).

E davvero deboli sono gli astri della Lince. La sua stella Alpha, quella più luminosa, è infatti di magnitudine apparente pari a 3,13, mentre la più fioca è quasi cinque volte più spenta della Alpha con le sue 4,84 magnitudini.


Le stelle che segnano il profilo della costellazione sono 8 e la loro magnitudine apparente media è di 4,26: la Lince è poco appariscente. Il riconoscimento poi è complicato anche dalla sua ampia estensione che disperde ulteriormente questi pochi tenui puntini distanziandoli abbastanza l’uno dall’altro.

Insomma, per distinguere la Lince nel cielo stellato occorre proprio… un occhio di lince! Ma fortunatamente c’è a disposizione quasi l’intero anno per allenarsi…

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A nord : Bootes - latino Bootes abbreviazione Boo

Il Bootes è una costellazione settentrionale di ampie dimensioni (Fig. 1). Coi suoi 907 gradi quadrati di area è la 13ma costellazione più grande del cielo e, proprio per questo, le occorre un po’ di tempo per far emergere tutte le sue stelle dall’orizzonte. Due delle tredici che tracciano la figura, sono in realtà circumpolari così che rimangono visibili per tutti i dodici mesi; si tratta di Lambda e Theta Bootis che corrispondono al braccio del guardiano dell’orsa, il personaggio rappresentato dalla costellazione.

Le altre undici invece non sono visibili per tutta la durata dell’anno e così eccole accendersi un po’ alla volta sul mantello della notte: verso la fine di dicembre appaiono Gamma e Beta Bootis, seguite dopo un paio di settimane da Rho, e qualche giorno dopo dal gruppetto formato da Delta, Epsilon, Eta e Ipsilon. Ma la vera regina della costellazione è la stella Arturo, che appare intorno al 20 di gennaio come una grossa perla, punto di riferimento per rintracciare il resto della figura o altre stelle nelle vicinanze come la Alpha della Corona Boreale o quella dei Cani da Caccia.

Arturo è la seconda stella più luminosa del nostro emisfero, preceduta da Sirio nel Cane Maggiore, e ci concede il suo splendore dalla fine di gennaio all’inizio di settembre quando scompare oltre la porta occidentale del cielo. L’ultima stella del Bootes ad affiorare all’orizzonte è Zeta all’inizio di febbraio. La costellazione è ora completa di tutte le sue stelle e raggiunge la massima altezza in cielo nel mese di giugno.

Il tramonto del Bootes inizia i primi giorni di settembre e si conclude sul finire di ottobre; esso richiede quindi quasi due mesi; rimangono però a vegliare Lambda e Theta nei quattro mesi di assenza del Bootes dallo scenario celeste. Ben otto sono le costellazioni che la attorniano: a nord il Drago, a ovest l’Orsa Maggiore e i Cani da Caccia, a sud-ovest la Chioma di Berenice, da sud a sud-est la Vergine, a est il Serpente e la Corona Boreale, mentre chiude il giro Ercole a nord-est (Fig. 2).

Le stelle principali della costellazione del Bootes sono undici, la più luminosa delle quali come abbiamo accennato è Arturo – Alpha Bootis – con una magnitudine apparente di –0,04.

Ma già la seconda stella per splendore, Eta Bootis, è quasi di terza magnitudine, il che significa che è dodici volte più spenta di Arturo. E così via fino ad arrivare all’ultimo lumicino della costellazione, rappresentato da Zeta Bootis che con le sue 4,43 magnitudini apparenti è ben sessanta volte più debole di Arturo.

Il contributo di tutte le stelle alla luminosità della costellazione, le assegna una magnitudine apparente media pari a 3,24; per confronto, il vicino Grande Carro è due volte e mezzo più appariscente.

A nord : Chioma di Berenice - latino Coma Berenices abbreviazione Com

La Chioma di Berenice è una costellazione di sole tre stelle fra quelle che ne delineano la figura (Fig. 3). La prima a sorgere è Gamma verso metà dicembre seguita da Beta alla fine del mese e da Alpha all’inizio dell’anno. Le tre stelle sono disposte ad angolo retto e sono praticamente equidistanti fra loro. Impiegano otto mesi ad attraversare la volta celeste da est a ovest mentre verso la fine di aprile raggiungono il loro culmine. Dalla metà di agosto nel giro di due settimane tramontano tutte. Del resto la Chioma di Berenice è una costellazione piccola, di 386 gradi quadrati che la collocano al 42° posto fra le 88 costellazioni dell’intera sfera celeste. La sua identificazione richiede un’elevata oscurità dal momento che si tratta di stelle di quarta classe, dunque di scarsa luminosità. Possono agevolare l’individuazione della porzione di cielo che le ospita, le stelle del timone del Grande Carro, la luminosissima Arturo nel Bootes e la brillante Spica nella Vergine.

La Chioma di Berenice è infatti attorniata a est dal Bootes, a Nord dai Cani da Caccia, a ovest da una parte di Orsa Maggiore e dal Leone, mentre a sud chiude il cerchio la Vergine (Fig. 4). La stella più luminosa della costellazione è Beta Comae Berenices, ma è luminosa solo per modo di dire dato che la sua magnitudine apparente è soltanto di 4,26. Segue Alpha con 4,30 e infine Gamma con 4,36 magnitudini, equivalenti a una riduzione della luminosità di un fattore 1,1. La magnitudine apparente media della costellazione risulta pari a 4,31, dunque decisamente poco appariscente.

Se la “luce” non è il suo forte, la Chioma di Berenice possiede però ben otto oggetti del prezioso catalogo di Messier, sette dei quali sono galassie (Fig. 5). Di queste, sei costituiscono la parte nord del grande Ammasso della Vergine, un gruppo di 2000 galassie legate gravitazionalmente fra loro e addensate nella costellazione della Vergine a 60 milioni di anni luce da noi, le quali arrivano a distribuirsi anche nella costellazione della Chioma. Charles Messier scoprì le sei galassie dell’Ammasso nel 1871.

M85 è la galassia più settentrionale dell’Ammasso della Vergine e rientra nella regione celeste appartenente alla Chioma di Berenice (Fig. 6). E’ una galassia di tipo S0, ossia una galassia a spirale dove però le braccia sono pressoché inesistenti a vantaggio di un nucleo estremamente esteso. Il nucleo di M85 ha infatti un diametro di 125.000 anni luce, una dimensione che solitamente è quella dei dischi di spirale che circondano il nucleo. Le galassie S0 sono dette lenticolari.

L’esatto opposto delle galassie lenticolari è rappresentato dalle galassie di tipo Sc, galassie dove il nucleo è molto piccolo e la struttura a spirale invece decisamente sviluppata. M88 è una galassia di tale forma e, fra le spirali, è una delle più luminose dell’Ammasso della Vergine (Fig. 7). Per attraversarla da un capo all’altro, la luce impiega 130.000 anni.

Nelle vicinanze splende una bellissima galassia a spirale barrata che ci si offre proprio frontalmente, consentendoci così di apprezzare nella sua completezza il vortice rappresentato dalle braccia e la barra che taglia a metà il nucleo e si congiunge alle prime due spirali. E’ M91, tanto magnifica quanto difficile però da osservare (Fig. 8). E’ infatti l’oggetto più debole del catalogo di Messier e richiede una strumentazione di elevata potenza. Di taglio ci si presenta invece M98, una galassia a spirale di tipo Sb anch’essa purtroppo di difficile osservazione per via della sua debole luminosità (Fig. 9). M98 è la galassia dell’Ammasso della Vergine situata più a sud nella Chioma di Berenice e dunque è la più vicina alla costellazione della Vergine. Poco oltre si incontra M99 (Fig. 10), una galassia a spirale di tipo Sc che presenta una peculiarità: osservandola attentamente, si noterà che il nucleo è decentrato rispetto alla struttura a spirale. Si pensa che ciò sia dovuto ad un avvicinamento della galassia con altri membri dell’Ammasso della Vergine. M91 sarebbe così entrata nel campo gravitazionale di altre galassie e l’attrazione si sarebbe manifestata prevalentemente sul nucleo. Stessa cosa sarebbe accaduta alla meravigliosa M100, galassia a spirale di tipo Sc che ci si presenta quasi frontalmente (Fig. 11). Anche se in modo meno evidente, il nucleo di M100 è leggermente spostato dal centro della galassia, posizione dovuta alle interazioni con le galassie poste nelle vicinanze. M100 è una delle galassie più luminose dell’Ammasso della Vergine e ha una intensa formazione stellare dovuta alle perturbazioni che si generano nell’interazione con le galassie vicine. Il suo diametro è di ben 160.000 anni luce.

A circa un terzo della distanza che separa Alpha da Gamma Comae Berenices si trova la settima galassia del catalogo di Messier appartenente alla costellazione. E’ M64, una galassia a spirale di tipo Sb molto più vicina di quelle dell’Ammasso della Vergine, seppure per le galassie si parli sempre di distanze gigantesche (Fig. 12). Si trova infatti a 19 milioni di anni luce dalla Terra e fu scoperta dall’astronomo francese nel 1780. M64 ha un aspetto singolare poiché presenta una estesa zona oscura che le è valso il nome di “Occhio Nero” (Fig. 13). Questa fascia buia non è altro che polvere che assorbe la luce delle stelle che vi stanno dietro dando all’osservatore l’impressione di vedere un occhio dalla pupilla scura. M64 ha un diametro di 51.000 anni luce ed è una galassia particolarmente luminosa, che può essere scorta anche con telescopi amatoriali di media dimensione.

L’ultimo oggetto di Messier presente nella Chioma di Berenice è M53, un ammasso globulare, ossia una sfera densa di centinaia di migliaia di stelle concentrate in uno spazio piuttosto limitato e la cui densità aumenta dirigendosi verso il centro (Fig. 14). Le stelle di M53 danno una luminosità pari a 200.000 soli! Questa sfera di stelle ha un diametro di 220 anni luce e si trova a 58.000 anni luce da noi, distanza che lo rende uno degli ammassi globulari più lontani, ai confini della Via Lattea. Per osservarlo bisogna puntare verso Alpha Comae Berenices e spostarsi a nord-est di 1°. Messier lo scoprì nel 1777.

La Chioma di Berenice dunque, nonostante la scarsa luminosità delle sue stelle principali, è una costellazione ricca di galassie e contenente diversi ammassi globulari, tutti oggetti celesti presenti anche in aggiunta a quelli del catalogo di Messier. Ma le sue peculiarità non finiscono qui. Nella Chioma infatti cade anche il Polo Nord della Via Lattea, esattamente a una ascensione retta di 12h 49,0m e declinazione di +27° 24’. Il disco della nostra galassia è inclinato di 62° 20’ rispetto all’equatore celeste e, così come per l’equatore celeste, anche per il disco della galassia la perpendicolare ad esso – o più esattamente all’equatore galattico che è contenuto nel piano galattico dato dal disco – incontra la volta celeste in due punti, detti poli (Fig. 15). Il Polo Nord Galattico si trova appunto nella Chioma di Berenice, mentre il Polo Sud Galattico cade nella costellazione australe dello Scultore (Fig. 16).

 

 

 

Zodiaco: Vergine - latino Virgo abbreviazione Vir

La Vergine è la seconda costellazione più estesa fra le 88 esistenti e occupa 1.294° gradi di spazio (Fig.4).

Non è dunque immediato riuscire a distinguere il suo profilo in mezzo a tante stelle, dato che dobbiamo percorrere con lo sguardo un’ampia zona di cielo. Fortunatamente però, ci viene in aiuto la sua stella più luminosa, Spica che, come vedremo parlandone, è facilmente individuabile. Appartiene alla fascia zodiacale e confina: a nord col Bootes e la Chioma di Berenice, a est col Serpente e la Bilancia, a sud col Corvo e la Coppa, e a ovest col Leone.

Sullo Zodiaco, giace fra il Leone e la Bilancia. Oltre a Spica, è importante la stella Beta Virginis, poiché si trova molto vicino al punto dell’equinozio d’autunno che, a causa del fenomeno della precessione, si è spostato dalla costellazione della Bilancia in quella della Vergine (Fig. 5 ),.

Ricordiamo che l’equinozio d’autunno è il punto in cui l’equatore celeste interseca l’eclittica dove l’equatore celeste è la proiezione nel cielo del piano equatoriale della Terra, mentre l’eclittica è l’orbita percorsa dalla Terra durante il suo moto annuale attorno al Sole.

Se immaginiamo di sovrapporre i piani contenenti appunto l’equatore terrestre/celeste e l’eclittica, li troviamo inclinati l’uno rispetto all’altro di 23,5°. Fra 6 mesi, quando il Sole si troverà nel punto dell’equinozio d’autunno, sarà vicino alla stella Beta Virginis, che ovviamente non vedremo in quanto abbagliata dal nostro astro. In quel giorno, il 22 settembre, data di inizio dell’autunno, il giorno e la notte avranno la stessa durata.

 

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La costellazione della Vergine infine ospita uno dei maggiori capolavori cosmici: l’Ammasso di Galassie che porta il suo nome.

 


Stelle famose nelle costellazioni di Aprile

Nella Vergine Spica

Spica è la stella più luminosa della costellazione della Vergine (Fig. 6 ) ed ha una magnitudine apparente di 1.04. Rientra anche fra le 20 stelle più brillanti della volta celeste piazzandosi al sedicesimo posto.

E’ una stella molto distante da noi, la luce che ci arriva ha impiegato circa 260 anni per raggiungerci e dunque, l’immagine che vediamo oggi della Spiga è quella di 260 anni fa. O, alternativamente, la sua luce di oggi è partita quando nasceva Mozart.

Se la costellazione della Vergine non è di immediata identificazione per via della sua estensione e della forma piuttosto anonima, Spica è invece una stella agevolmente rintracciabile. Basta infatti seguire la curva formata dalle tre stelle del manico del Grande Carro fino ad incontrare la stella Arturo nel Bootes, e da lì proseguire lo stesso arco fino alla prima stella che incontra: quella è Spica (Fig. 6bis).

Per ciò che riguarda le sue caratteristiche fisiche, si tratta di una stella variabile del tipo Beta Cephei, ossia la sua luminosità oscilla in conseguenza di una pulsazione dei suoi strati superficiali. Tuttavia, anche se le pulsazioni avvengono su un intervallo temporale breve, circa 4 giorni, la sbalzo di luminosità non è percepibile a occhio nudo.

Il fatto però che Spica sia variabile, fa sì che appartenga a due classi spettrali; è come se possedesse due carte d’identità, una per quando i suoi strati superficiali si sono espansi al massimo e l’altra per quando invece si sono compressi. Ed il cambio di carta d’identità avviene ogni 4 giorni!

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Spica è dunque alternativamente di tipo B2V quando è in massima espansione e B1III-IV quando è in massima compressione, dove: la lettera B ci dà un’indicazione sul colore e sulla temperatura superficiale della stella, da cui risulterebbe essere bianca con una temperatura compresa in un intervallo fra 10.000°K e i 25.000°K; il numero che segue restringe ulteriormente il campo dicendoci se la temperatura della stella è più vicina a 10.000°K (limite inferiore) o a 25.000°K (limite superiore). Tenendo conto che sono state definite 10 classi entro cui una stella può rientrare, il passaggio dalla classe 2 alla 1 ci indica che non ci sono significativi sbalzi di temperatura e che in entrambi i casi, la temperatura è più vicina al limite superiore che non a quello inferiore. Le misurazioni danno per Spica una temperatura superficiale di circa 18.500°K quando è di classe 2, ossia dilatata e quindi giustamente più fredda, e 22.400°K quando è di classe 1, contratta; il numero romano infine, rappresenta una classificazione in termini di fase evolutiva della stella o, detta in altre parole, ci dice a che punto della sua vita è. In particolare questa classificazione è nata con lo scopo di distinguere le stelle giganti dalle nane. Osserviamo allora che l’Alpha della Vergine ha un comportamento un po’ “borderline”, nel senso che quando è III-IV si trova a metà via fra una Gigante e una Subgigante, mentre quando è V rientra già nel gruppo delle stelle Nane.

Cosa ci fa capire questo? Ci fa capire che, a dispetto dell’impercettibile variazione di magnitudine apparente da parte del nostro occhio, degli sconvolgimenti non irrilevanti in verità avvengono dentro la stella. E questo è confermato considerando gli altri dati di Spica ricavati dalle misurazioni: il suo raggio per esempio raddoppia nella fase di espansione, passando da 4 a 8 volte il raggio del nostro Sole.

Anche la sua massa subisce un’importante oscillazione: da 7 masse

solari passa a ben 11 quando si comprime, aumentando dunque la sua densità ed essendo soggetta ad una forza di gravità maggiore che spiega il valore maggiore della massa.

La variazione di temperatura che abbiamo visto prima si traduce anche in una variazione di luminosità: quando la stella è dilatata e quindi più fredda, la sua luminosità è 1.700 volte quella del Sole, ma nella fase di contrazione massima, quando la temperatura è salita a 22.400°K, splende come 13.400 soli! Il fatto che il nostro occhio non possa apprezzare la variazione di magnitudine apparente è legato al fatto che proprio di magnitudine apparente stiamo parlando, la quale è inficiata dal fattore distanza che non ci permette di conoscere davvero il tipo di stella che stiamo guardando. Quindi, attenzione a non trarre informazioni sull’identità della stella dalla magnitudine apparente!

Come si può vedere dalla Fig. 2, Spica è situata molto vicino all’eclittica, l’orbita percorsa dalla Terra nella sua rivoluzione intorno al Sole. Questo fa sì che si possano verificare dei fenomeni di occultazione da parte dei pianeti del nostro Sistema Solare e della Luna. L’ultima occultazione risale al 10 novembre 1783 quando Venere passandole davanti, la oscurò. La prossima volta che questo accadrà di nuovo sarà il 2 settembre del 2197.

Il Sole invece passa vicino a Spica – a poco più di 4° – ogni anno attorno al 16 di ottobre.

In Boote, Arturo

Prolungando l’arco descritto dalle tre stelle del timone del Grande Carro, si incontra una stella giallo-arancione particolarmente brillante: è Arturo, l’astro più luminoso della costellazione del Bootes e il secondo del nostro emisfero, preceduto da Sirio nel Cane Maggiore. Arturo splende con una luce 170 volte più intensa di quella del Sole (Fig. 17); la sua magnitudine assoluta è di –0,29 ma per via della distanza, la vediamo affievolita di un 20%, il che equivale a una magnitudine apparente di –0,04. Raggiungerla richiede quasi 37 anni di viaggio alla velocità della luce. L’analisi spettroscopica della stella – che consiste nello scomporre la sua luce nei vari colori per vedere quali di essi presentano righe nere, segno che a quelle frequenze vi è assorbimento di fotoni da parte di atomi presenti nell’atmosfera della stella – fornisce le caratteristiche fisiche dell’astro, una sorta di carta d’identità con tanto di numero che in gergo tecnico si chiama “tipo spettrale”. E così Arturo viene classificata come una stella di tipo K1III, dove K ci dà un’indicazione della sua temperatura e del suo colore, nonché del tipo di elementi presenti nella sua atmosfera; risulta allora che siamo in presenza di una stella arancione piuttosto fredda con una temperatura compresa fra i 3.500°K e 5.000°K e con una superficie caratterizzata dalla presenza di metalli neutri; il numero 1 poi indica che il valore della temperatura è più vicino al suo limite superiore che a quello inferiore. Le classi spettrali infatti sono divise in 10 sottoclassi, da 0 a 9, e la temperatura rilevata per Arturo è di circa 4.300°K; il numero romano infine viene utilizzato per distinguere le stelle giganti da quelle nane; in particolare le classi fino alla III appartengono alle stelle giganti, mentre quelle dalla IV alla VII sono riservate alle stelle nane. Arturo, di III classe, risulta essere una stella gigante e infatti il suo diametro è 50 volte quello del Sole. Le stelle giganti sono stelle ormai “in età avanzata” e la massa di 1,10 volte quella del nostro astro rilevata per Arturo, comporta che dopo la fase di stella gigante, la stella si rimpicciolirà in una nana bianca, lo stesso destino – tranquillo – che attende il Sole fra cinque miliardi di anni. L’età di Arturo invece si aggira sugli otto miliardi di anni.

Un’altra caratteristica che contraddistingue Arturo è il suo elevato moto proprio. Bisogna sapere che con l’invenzione del telescopio da parte di Galileo ed i suoi successivi potenziamenti, arrivò il momento in cui si scoprì che le stelle non erano fisse nel cielo; ognuna era dotata di un suo movimento, chiamato moto proprio e dunque, anch’esse come i pianeti, viaggiavano. Era il 1718 e, come quasi sempre accade nelle scoperte scientifiche, l’astronomo inglese Edmund Halley cercando una cosa, ne scoprì un’altra. Egli stava lavorando da lungo tempo sulla determinazione della distanza di alcune stelle, quando si accorse che tre delle stelle più brillanti – Sirio, Arturo e Procione – non si trovavano nella posizione indicata dagli Antichi Greci sedici secoli prima. Non solo, ma si trovavano in posizioni celesti così diverse da portarlo con fermezza ad escludere che si trattasse di un errore commesso dagli antichi astronomi: per quanto imprecise fossero le loro osservazioni a occhio nudo, non avrebbero potuto sbagliarsi così tanto. Vi era un’unica spiegazione a tutto questo: le stelle si erano spostate. Il fatto che il loro moto fosse impercettibile era dovuto alla grandissima distanza a cui si trovavano. E’ lo stesso effetto che si ha quando in treno osserviamo per esempio gli alberi dal finestrino: mentre quelli più prossimi a noi ci scorrono davanti velocissimi, man mano che ci allontaniamo con lo sguardo in profondità, li vediamo scorrere sempre più lentamente, fino a che gli alberi all’orizzonte ci sembrano praticamente fermi. E’ naturalmente la grande distanza il motivo di questa illusione ottica, e ciò che si scoprì nel XVIII secolo fu che anche in cielo accade la stessa cosa: le stelle sono così lontane che, senza uno strumento adeguato, non è possibile distinguerne il movimento. Sirio, Arturo e Procione tuttavia, erano sì troppo distanti per riuscire a scorgere il loro moto proprio a occhio nudo, ma per i telescopi erano tuttavia abbastanza vicine a noi per poter osservare il fenomeno. Ecco allora la scoperta che Arturo viaggia nel Sistema Solare a una velocità di 122 km/s, uno valore molto alto, se si pensa che la maggior parte delle stelle si muovono mediamente a 6 km/s.

Arturo infine è una delle stelle che formano il cosiddetto Triangolo di Primavera (Fig. 18). Nel cielo primaverile infatti vi sono tre costellazioni adiacenti, ciascuna delle quali possiede una stella che spicca per luminosità e che insieme formano un triangolo equilatero. Sono Spica nella Vergine, Denebola nel Leone e Arturo nel Bootes.


Oggetti famosi nella costellazione della Vergine

Ammasso della Vergine

 
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Il nostro occhio da solo non potrebbe mai scoprire cosa si cela in quella parte della costellazione della Vergine dove le stelle Vindemiatrix, Porrima e Zavijah formano come un incavo apparentemente vuoto (Fig. 7 ). Con l’aiuto di un potente telescopio invece possiamo addentrarci in profondità celesti lontanissime e ammirare là dove sembrava non esserci nulla, uno degli spettacoli più meravigliosi che ci siano dati di vedere: laggiù il cielo si accende di decine di galassie spirali ed ellittiche, minuscole ma ben definite, inconfondibili nella loro identità.

In un vero e proprio incanto mozzafiato, un regno incontaminato e accessibile a pochi eletti si apre in tutto il suo splendore; galassie, galassie e ancora galassie sembrano essere state messe in sfolgorante esposizione da un collezionista appassionato, ed è davvero difficile credere che sia tutto vero!

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Le Figure 7 e 8 ci mostrano rispettivamente il cielo come lo vedono i nostri occhi e come in realtà è; si può facilmente vedere che in verità c’è una quantità impressionante di galassie che lo popola. Ad essere precisi, il termine corretto per indicare gli oggetti di questa immagine non è galassie ma nebulose, dove con nebulose si intendono tutti gli oggetti non puntiformi – ossia non stellari – e che non sono comete. Questa classificazione fu un’idea dell’astronomo francese Charles Messier vissuto a cavallo fra il XVIII e il XIX secolo; egli si propose di stilare un catalogo contenente i corpi celesti che avevano i requisiti sopra descritti, onde evitare di scambiarli per comete, come spesso invece accadeva. Alla luce di ciò quindi, in Fig. 8 non ci sono soltanto galassie, ma anche ammassi di stelle o nebulose vere e proprie, tutti oggetti cioè relativamente vicini a noi e, soprattutto, appartenenti alla nostra galassia.

Tuttavia, se si andasse a vedere ogni puntino grigio di che natura è, si scoprirebbe che la maggior parte di essi sono galassie. Possiamo pertanto affermare con buona approssimazione che sullo sfondo del cielo c’è un vero e proprio brulicare di questi giganteschi corpi celesti. Se osserviamo attentamente la mappa infine, possiamo notare come nella costellazione della Vergine ci sia una concentrazione maggiore di galassie rispetto al resto della volta celeste (Fig. 9 ).

Scopriamo allora che quell’incavo vuoto fra le stelle Vindemiatrix, Porrima e Zavijah è in realtà uno scrigno ricchissimo, il cui tesoro rifulge inviolabile: siamo davanti all’Ammasso della Vergine, il cui nome è conosciuto a tutti, ma forse solo in pochi sanno esattamente di cosa si tratta. Per saperlo, occorre innanzitutto avere le idee chiare sull’organizzazione gerarchica dell’Universo. Le parole sono senz’altro più oscure che non la loro traduzione pratica e quindi, più semplicemente, bisogna sapere che: noi viviamo su un pianeta chiamato Terra; la Terra ruota attorno ad una stella, il Sole, insieme ad altri 8 pianeti che fanno lo stesso;l’insieme dei pianeti orbitanti attorno alla stella Sole, è chiamato Sistema Solare.

Il Sole, con il suo corteo di pianeti, non è altro che una stella in mezzo ad altre stelle: quante? Beh, si stima che siano almeno 100 miliardi! L’insieme di questi 100 miliardi di stelle costituisce la Galassia: una galassia è il raggruppamento ultimo di stelle prima che inizi… il vuoto.

La nostra galassia si chiama Via Lattea ed è una gigantesca spirale che biancheggia di stelle, tutte in diligente processione attorno al suo centro lontanissimo. Il nostro Sole è lì, in cammino insieme alle altre, indistinguibile e insignificante in tale moltitudine, silenzioso.

Le stelle che osserviamo nelle nostre costellazioni sono quelle che la nostra posizione all’interno della Galassia, ci consente di vedere. Non potremo mai vederle tutte, e non tanto perché ci manchi la tecnologia, ma perché noi siamo posizionati in una zona marginale (Fig. 10 ).

Troppa polvere interstellare agisce come una fitta cortina di nebbia impedendoci di avvistare le stelle lungo i bracci più interni della galassia e, qualora anche riuscissimo ad abbattere questa barriera, il centro della galassia è circondato da un addensamento di stelle talmente fitto che vedremmo solo un’enorme rigonfiamento sferico di luce abbacinante. Tecnicamente, si chiama bulge e ci impedirebbe la vista delle stelle che stanno dalla parte opposta alla nostra. Da dove siamo, a occhio nudo possiamo vedere circa 9.000 stelle.

Certo, abituati a desiderare in ogni situazione di essere al centro, potremmo restare delusi dalla periferia cui siamo confinati. Invece dobbiamo considerarci molto fortunati: uno, perché al centro della galassia – e per una parte cospicua dei suoi dintorni – non è possibile la vita; due, perché da qui il panorama è decisamente più interessante… Possiamo infatti vedere tutto quello che c’è fuori!

E allora scopriamo che fuori ci sono altre galassie, alcune simili alla nostra, altre di forma ellittica, altre ancora di forma irregolare. E oltre ad essere uno scenario variegato, ha l’inestimabile valore di permetterci di “dare un’occhiata” all’Universo per studiarlo da un punto di vista cosmologico.

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Tornando infine alla nostra gerarchia, concludiamo dicendo che le osservazioni hanno dimostrato che le galassie tendono a raggrupparsi, e parliamo così di Ammassi di Galassie.

Un dato curioso a riguardo è che le galassie si organizzano in gruppi molto più di quanto facciano le stelle; anzi, sono relativamente poche le stelle che si riuniscono in ammassi aperti o globulari, la maggior parte di esse costituendo un elemento a sé dell’insieme complessivo.

Sicuramente qualcuno si sta chiedendo se la Via Lattea fa parte di un ammasso: la risposta è sì, ed il gruppo cui appartiene è stato battezzato Gruppo Locale. Sono circa una trentina le galassie che lo compongono, due delle quali sono le celebri Nubi di Magellano, visibili però nell’emisfero australe, mentre nel nostro emisfero ben si lascia contemplare la sempre affascinante galassia di Andromeda. Fra l’altro, proprio Andromeda e la Via Lattea sono le due galassie dominanti dell’ammasso, quelle cioè attorno a cui ruotano le altre.

L’Ammasso della Vergine è un altro ammasso di galassie, la cui notorietà è dovuta sia al fatto che è l’ammasso più vicino a noi – dista circa 50 milioni di anni luce – ma soprattutto all’abbondanza di galassie che lo caratterizza: più di 2.000! Di queste 2000, 16 sono quelle nebulose che Charles Messier catalogò senza sapere di cosa si trattasse; peraltro nel caso in questione si scoprì che erano galassie soltanto nel 1920, quando la tecnologia lo consentì.

Una delle nebulose avvistate dall’astronomo francese è proprio il cuore dell’ammasso: si tratta di M87 (Fig. 11 ), una galassia ellittica gigante che, per questa sua peculiarità ha una massa tale da tenere gravitazionalmente legate a sé le altre.

Non è stato detto esplicitamente ma in tutta l’Astronomia chi fa da padrona è la forza di gravità, la cui intensità dipende dalla massa dei corpi: più grande è la massa, più forte è il campo gravitazionale generato. Tutte le galassie di un ammasso pertanto ruotano attorno a quella che le attrae con forza maggiore, e nel caso dell’Ammasso della Vergine, è appunto M87.

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La Fig. 12 mostra gli ammassi di galassie scoperti nelle zone di cielo contraddistinte dalle nostre costellazioni: la Via Lattea è al centro della mappa, dove è visibile il Gruppo Locale; l’Ammasso della Vergine balza subito all’occhio per la sua densità. Vi si trovano sia galassie ellittiche che spirali, complessivamente non mescolate insieme: si è visto infatti che le spirali si dispongono su un piano allungato e piuttosto piatto, mentre le ellittiche si addensano al centro. Non sappiamo ancora le ragioni che stanno dietro a questa dislocazione, ma non mancano gli studi a riguardo, poiché la loro conoscenza è di fondamentale importanza per conoscere la storia dell’Universo nei suoi primi stadi evolutivi.

Per quanto riguarda le dimensioni, se a percorrere il Gruppo Locale impiegheremmo 10 milioni di anni viaggiando alla velocità della luce, per l’Ammasso della Vergine ne occorrerebbero circa 15. Tutto sommato quindi l’Ammasso della Vergine ha un’estensione confrontabile con quella del Gruppo Locale, ma d’altra parte non è per questo attributo che si contraddistingue, bensì per la ricchezza di elementi, che è quasi cinquanta volte maggiore rispetto a quella del nostro.

Come sappiamo, le osservazioni hanno mostrato che l’Universo è in espansione, ossia tutte le galassie si stanno allontanando le une dalle altre, oltretutto sempre più velocemente man mano che aumenta la loro distanza. Anche il nostro Gruppo Locale quindi si sta allontanando dall’Ammasso della Vergine e viceversa, il tutto ad una velocità di circa 1.000 km/s.

La massa di quest’ultimo tuttavia è così elevata che sprigiona una forza gravitazionale che rallenta la nostra fuga da esso di circa 250 km/s, ossia l’Ammasso della Vergine contrasta il nostro moto di recessione dovuto all’espansione dell’Universo del 25%; è una percentuale non trascurabile che potrebbe anche invertire la rotta e provocare un cosiddetto cannibalismo galattico.

Per finire, qualcuno avrà sentito parlare sia di Ammasso della Vergine che di Superammasso della Vergine: non sono la stessa cosa. La gerarchia dell’Universo infatti non termina con gli ammassi di galassie, bensì con gli ammassi di ammassi di galassie, detti appunto superammassi. Che cosa significa? Significa che i gruppi di galassie (gli ammassi) tendono a loro volta a raggrupparsi con altri gruppi (ammassi) di galassie, formando un superammasso. Di nuovo, se questo accade, è perché la forza di gravità esercitata da un ammasso di galassie è sufficientemente intensa da legare a sé un altro ammasso di galassie più distante: nessun raggruppamento è possibile senza un’adeguata forza gravitazionale.

Il Gruppo Locale e l’Ammasso della Vergine fanno parte del superammasso chiamato della Vergine, la cui dimensione totale è stimata attorno ai 200 milioni di anni luce. Tutti gli ammassi indicati in Fig. 12 fanno parte del Superammasso della Vergine. La scelta del nome è ricaduta sulla costellazione della Vergine, poiché il suo ammasso è quello dominante, ovvero è quello con la massa maggiore attorno al quale ruotano gli altri ammassi.


Immagini:

  • Figure 1, 2, 4, 5, 6, 7, 8, 9: SW Cartes du Cie
  • Figura 3: dall’Uranographia di Heveliusl
  • Figure 7a, 7b :
  • Figura 101: SEDS - www.seds.org
  • Figure 11,12 : An Atlas of The Universe - www.atlasoftheuniverse.com

Fonti:

  • Ian Ridpath, The Pocket Guide To Astronomy, 1990
  • La Biblioteca di Repubblica, Collana “La Scienza”, 1. L’Universo, 2005

Internet:

  • An Atlas of The Universe - www.atlasoftheuniverse.com
  • SEDS - seds.org/messier/g-group
  • Wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/Spica
  • Wikipedia - http://en.wikipedia.org/wiki/Virgo_(constellation)

 

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